Eric: recensione della miniserie Netflix con Benedict Cumberbatch
La recensione di Eric, la miniserie Netflix con protagonista Benedict Cumberbatch disponibile sulla piattaforma dal 30 maggio.
L’incubo più grande di un genitore è quello di non veder tornare a casa i propri figli. Succede questo a Vincent Anderson e a sua moglie Cassie quando scoprono che il loro figlio, Edgar, la mattina sulla strada per andare a scuola sparisce nel nulla. Da questo parte Eric, la miniserie composta da sei episodi, arrivata su Netflix il 30 maggio 2024, ideata da Abi Morgan, che racconta il dramma di questi genitori la cui vita da un giorno all’altro cambia di senso. Il centro di tutto sono una città, distrutta sotto vari punti di vista – differenze economiche, di genere, di estrazione sociale…. -, dilaniata da una serie di rapimenti di minori, un padre e una madre, sconvolti e travolti dal dolore, che vivono la sparizione in maniera differente. Da una parte c’è il padre che cerca rifugio nell’alcol e nelle sostanze stupefacenti e dall’altra la madre che si affida totalmente alla polizia.
Eric: un uomo e un mostro alla ricerca di un bambino
Quella di Eric è la New York degli anni ’80, piena di ferite e strazi, tutta graffiti e povertà, spesso intrisa di lacrime invece che di luci e giochi, che si sgretola sotto il peso di coloro che dovrebbero proteggerla. Quando un bimbo di 9 anni, Edgar (Ivan Morris Howe), lasciato andare solo a scuola scompare, il mondo si ferma e inizia ad gridare la propria disperazione. Vincent (Benedict Cumberbatch), artista creatore di burattini e autore di un notissimo show tv per bambini di cui le sue creazioni sono protagoniste, dà il permesso al figlio di percorrere due isolati che separano casa loro da scuola, perché è grande, perché alle volte i genitori danno piccoli premi ai propri figli soprattutto nel momento in cui essi litigano. In casa l’atmosfera non è sempre semplice e Edgar si trova di fronte ad un padre distante che spesso urla, si arrabbia, motivi per cui il figlio inizia a temerlo, e ad una madre con cui ha un rapporto più fisico, fatto di baci, carezze, sguardi e attenzione.
Vincent è l’anello debole di quella famiglia, è un uomo disperato, spesso con il bicchiere in mano, nervoso, molto convinto di se stesso e delle sue capacità, le cose con Cassie, la moglie, non vanno bene e il figlio lo ama molto ma è molto lontano. Al lavoro le cose non sempre sono facili soprattutto quando è perso nel suo mondo, un po’ annebbiato e un po’ affannato; è la mente dietro Good Day Sunshine, così si intitola lo show televisivo per cui lavora, in cui tenere marionette vivono in un parco meraviglioso, forse però molto lontano dalla realtà e dalla contemporaneità. Gli ascolti stanno calando e il destino dello show, che esorta i bambini a essere buoni, gentili, coraggiosi, deve puntare a qualcosa di nuovo, un burattino che deve colmare il divario tra i bambini in età prescolare e quelli delle elementari. A Vincent questa idea, o qualsiasi altra idea non sua, non piace, e non può fare a meno di esprimere il suo disappunto. L’idea nuova deriva da un disegno di Edgar, matita felice, che spesso comunica proprio in questo modo, cosa che potrebbe unirlo al padre: l’Eric del titolo è un mostro blu peloso che ricorda un po’ i mostri di Maurice Sendak, un po’ Sulley di Monsters Inc. e gli Sweetums dei Muppets. Il disegno di Edgar diventa per il padre nel momento in cui il ragazzino scompare un mezzo per fargli capire che il padre lo pensa, che lo stanno cercano e diventa anche una sorta di prolungamento di Vincent, una coscienza spietata, cinica e cattivissima che lo mette alle strette, è il male che nasconde dentro di sé, è il suo dolore e la sua tristezza. Le parole crudeli che Eric dice a Vincent sono figlie del senso di colpa che lui prova chiaro e tormentoso, ed è proprio quest’ultimo a distruggerlo.
Un viaggio disperato per ritrovare il proprio figlio è anche un viaggio per cicatrizzare le proprie ferite
La scomparsa di Edgard getta il padre in un abisso da cui sarà difficile uscire, in una spirale autodistruttiva in cui perde tutto ciò che possiede (il figlio prima di tutto ma poi la moglie, il lavoro, la ragione), quello che lo tiene legato alla vita/realtà. Si aggrappa a Eric, il mostruoso burattino e inizia insieme a lui la ricerca del figlio. Più a lungo Edgar resta lontano, più Vincent crolla. Beve, inizia a drogarsi, nulla ha più senso, stordirsi vuol dire in parte stare meglio o non sentire fino in fondo tutto quello strazio. Il suo comportamento diventa irregolare per le persone che lo conoscono e anche per chi non lo conosce e lo incrocia per strada mentre “dice al vento” di stare zitto, per la polizia che lo interroga. L’arrogante Vincent diventa il pazzo Vincent.
L’interpretazione di Cumberbatch è perfetta, riesce a mostrare il viaggio negli inferi da parte dell’uomo, urla, singhiozzi, lacrime, fango e sporcizia. Eric tormenta e perseguita Vincent come fa il ricordo di suo figlio, per risolvere il mistero sarà costretto a guardarsi dentro, a dialogare col mostro di cui ogni bambino ha avuto paura, a riconciliarsi con il proprio passato, con il suo essere un fallimento come padre/marito/uomo. Il viaggio di Vincent alla ricerca di Edgar, voce di “Sirena” per il papà che vuole solo rimediare (o sparire), luce in un mondo di ombre, è anche un viaggio per guarire da ciò che lo ha fatto soffrire.
C’è poi Cassie, madre delusa e arrabbiata, con un segreto nascosto, che è coraggiosamente distrutta dal dolore per il figlio che sembra essere sparito nel nulla e non perde mai la speranza, e si trova nella condizione di accettare la fine di un rapporto che ormai non ha più motivo di esistere. Deve darsi forza da sola, appoggiarsi agli altri e non a Vincent, prima un bambino capriccioso e arrogante, ora una scheggia impazzita in giro per la città. Come spesso accade, proprio in questo momento, Vincent e Cassie sono più distanti che mai.
La triste e oscura fotografia di un mondo (spesso o quasi sempre) brutto, sporco e cattivo
Il motore di tutto è sì la scomparsa di Edgar ma da lì si racconta altro e la città si crepa in modo quasi inarginabile, si tratta di strade malate, sporche e cattive, si tratta di famiglie e persone che spesso mentono, portano segreti ingombranti. Eric è dramma familiare, una fotografia oscura di questioni sociali complesse, un poliziesco e ci sono anche le allucinazioni di Vincent in cui un uomo parla con un mostro nato dalla penna di Edgar.
Di minuto in minuto, di episodio in episodio, Eric mostra la faccia slabbrata di una terra che non dà opportunità ai suoi figli e alle sue figlie, o almeno non a tutti, ci sono molte ombre e infatti Vincent vagherà nel sottosuolo della città, tra i poveri, i senzatetto, i drogati, i reietti. Lo spettatore entra in contatto con le comunità nere, con quelle omosessuali spesso perseguitate da politici avidi e corrotti e poliziotti altrettanto corrotti e violenti.
Per comprendere meglio la situazione politico sociale c’è un personaggio importante che, come altra faccia della medaglia, problematizza molti di questi temi, il detective Michael Ledroit (McKinley Belcher III, silenziosamente magnetico), un poliziotto nero che fa gli straordinari per trovare Edgar e per risolvere un altro caso, trovare un giovane ragazzo, nero, Marlon, e quando è a casa si prende cura del suo compagno malato di AIDS. Entra così nel racconto, metaforicamente, il corpo martoriato da bubboni e concrezioni della terribile epidemia di AIDS, malattia silenziosa all’inizio ma poi dirompente e devastante. Ledroit tiene il segreto perché essere omosessuale (e per di più poliziotto, ruolo secondo i cliché profondamente e categoricamente virile) è ancora un tabù.
La sua indagine è paziente e inesorabile, il suo muoversi si snoda arrivando fino agli uffici dell’élite e giù nelle fogne dove le anime senza casa cercano rifugio. Mette lo stesso impegno sia nella ricerca di Edgar che in quella di Marlon, figlio di Cecile, (Adepero Oduye) che vive in commissariato in cerca di aiuto perché fino ad ora suo figlio non ha mai ricevuto l’attenzione di Edgar. Il trattamento dunque è diverso, essere bianchi o neri, poveri o ricchi, omosessuali o eterosessuali, sono tutte categorie a cui in questa New York viene riservato un trattamento diverso.
Eric: conclusione e valutazione
Eric è una miniserie che coinvolge e che, grazie al talento dei suoi attori, riesce perfettamente a traghettare chi guarda nel dramma di una famiglia e di un intero paese. La storia di una famiglia si espande, include non solo la crisi coniugale, il conflitto intergenerazionale, la dipendenza, l’infedeltà, il dolore, la perdita e il tracollo psicologico, ma anche la corruzione, i pregiudizi razziali e politici, gli abusi sui minori, la droga, la difficile questione relativa ai senzatetto, l’omofobia sistemica, l’HIV e l’Aids. Lungo i sei episodi l’inferno si apre e emerge una lava putrida, purulenta e sanguinolenta che viscosa prende persone, cose, luoghi, istituzioni, sta all’individuo salvarsi. Vincent si mostra senza paura con tutti i suoi difetti, le sue ombre, i suoi vizi, solo il desiderio di riabbracciare il figlio lo può salvare. Allo stesso modo il detective Ledroit tenta di fare la differenza, vuole fare la cosa giusta e, essendo lui stesso, uno dei possibili emarginati, almeno sulla carta, fa di tutto per portare luce dove non c’è.
La serie, dolorosamente, ruota attorno alla corruzione e alla disumanità, argomenti che tuoneranno nella mente dello spettatore molto tempo dopo l’episodio finale. Ovviamente, non è consentito a tutti il lieto fine, non per tutti c’è giustizia. Eric è un canto crudo e oscuro del male, del disagio e del dramma, ciò che emerge però è anche l’amore con cui i genitori di molti di questi bambini e ragazzi combattono per ritrovarli, per avere giustizia.