F is for Family – Stagione 4: recensione della serie tv Netflix
L'arrivo di nonno William e la nascita del quartogenito sconvolgono la già precarissima stabilità dei Murphy. Riuscirà la famiglia a restare ancora una volta unita, nonostante tutto?
Rabbia, maledizioni, risentimento: la quarta stagione della sitcom animata targata Netflix F is for Family (disponibile dal 12 giugno) continua a seguire le tragicomiche gesta quotidiane della famiglia Murphy, capeggiata – si fa per dire – dal disilluso e irascibile Frank. I Murphy sono bianchi, appartengono alla classe media irlandese-americana e sono spesso loro malgrado i perfetti rappresentanti del razzismo (“E se ti ferma la polizia, non ti preoccupare: sei bianco!”) e della misoginia nixoniana degli anni ’70. Una normale famiglia incasinata che si aiuta a vicenda, che ormai abbiamo imparato a conoscere in tutte le sue sfumature e idiosincrasie.
Ritrovarli è sempre un piacere, e non è un caso che l’apprezzamento che continua a essere rivolto al prodotto ideato da Bill Burr e Michael Price sia quello di essere una serie tv “di gran cuore”. F is for Family può far ridere o lasciare indifferenti, può sembrare più o meno riuscito rispetto ad altri lavori d’animazione “per adulti”, ma di sicuro ha la non comune capacità di tratteggiare con credibilità i meccanismi umani e sociali di un gruppo eterogeneo di persone, ognuno con le sue caratteristiche e le sue problematiche generazionali.
F is for Family: G come Genitori
Al quarto ciclo di episodi si avverte, in fase di scrittura, un po’ di fatica: i personaggi sono più o meno gli stessi, e per ovviare alla monotonia di gag e situazioni si affronta un nuovo ventaglio di argomenti. Su tutti, l’improvvisa ricomparsa dell’anziano padre di Frank, William. È il cuore pulsante della stagione, che permette di riflettere su come i comportamenti possano essere tramandati da una generazione a un altra, che lo si voglia o no. Il figlio odia il padre, il padre odia il nonno: tutti sembrano passare la maggior parte del loro tempo a imprecare e la frustrazione non finisce mai.
Rispetto alle prime scanzonate e allegre stagioni, si avverte quindi un significativo scarto. L’atmosfera è maggiormente drammatica, in modo funzionale alla crescita psicologica dei caratteri. In modo schietto e diretto, totalmente scevro da ipocrisie, ci viene quindi mostrato che ciò che Frank odia di più di suo papà è ciò che ora vede in se stesso: è difficile per chiunque distinguersi dai propri genitori, ma per una persona la cui visione del mondo è stata plasmata dalla rabbia e dalla violenza è ancora più difficile, soprattutto in un periodo storico – siamo nel 1974 – in cui il ruolo di un uomo in casa è rappresentato dalla sua autorevolezza.
Scene di vita familiare, tra sarcasmo e benevolenza
Tra le caratteristiche principali di F is for Family spicca un’insolita ambivalenza di toni: nel giro di pochi minuti si passa con nonchalance dal cinismo più bieco (“La vita è una scena di morte”) al buonismo più o meno giustificato. All’interno di questa multidimensionalità si muovono le sottotrame relative alla nascita del quarto figlio (con le sedute al corso preparto Lamaze), all’elezione del consigliere comunale afroamericano Rosie (a cui viene dedicata un’intera puntata, R come Rosie) e all’invecchiamento del ricco playboy Vic (che compie 30 anni e viene improvvisamente trattato come un vecchio).
C’è – rispetto soprattutto alle stagioni 1 e 2 – meno mordente, alcune situazioni vengono un po’ abbandonate a loro stesse (la figlia minore Maureen e la sua nuova imprevedibile amicizia, ad esempio) e mancano i riferimenti socio-politici che sono stati il fiore all’occhiello della serie. Ma restano intatte la satira sull’essere umano vittima degli eventi, l’attualità delle problematiche (perché se non impariamo dalla storia, siamo condannati a ripeterla), la coerenza interna della struttura narrativa e l’affetto per i protagonisti, possibile grazie alla sincerità e al realismo con cui vengono trattati. Sembra poco, ma poco non è.