Fargo – Stagione 4: recensione finale della serie TV Sky
Una volta giunta a conclusione la messa in onda su Sky Atlantic, ecco la recensione completa della quarta stagione della serie creata da Noah Hawley, ispirata a sua volta al cult omonimo dei Fratelli Coen del 1996.
Tratta da una storia vera e come tale i fatti narrati sono stati riportati in maniera più o meno fedele per rispetto delle vittime, ma utilizzando nomi fittizi come da richiesta dei sopravvissuti. È quanto si legge nel prologo di ognuno degli undici episodi che vanno a comporre la quarta stagione di Fargo, la cui messa in onda su Sky Atlantic si è conclusa lo scorso 14 dicembre a seguito di appuntamenti settimanali iniziati un mese prima, il 16 novembre. Sono didascalie sacrosante, poiché la vicenda in questione di vittime ne ha viste tante, morte ammazzate nel corso di una faida tra due famiglie criminali, quella italiana dei Fadda e quella afroamericana dei Cannon, per la conquista del potere e la spartizione degli affari illeciti.
Fargo – Stagione 4: una sanguinaria faida tra clan al centro di un romanzo criminale ambientato nella Kansas City del 1950
Le lancette dell’orologio ci riportano all’inverno del 1950, per la precisione nel Missouri, in una Kansas City messa a ferro e fuoco da un patto di non belligeranza destinato a trasformarsi in una guerra a colpi di avvertimenti, ricatti, omicidi a sangue freddo, esecuzioni sommarie, avvelenamenti, rappresaglie, ritorsioni, vendette e doppi giochi. Insomma, il menù classico alla base dell’ennesima epopea criminale in salsa gangster che chiama in causa due fazioni rivali e una galleria di terzi incomodi come poliziotti corrotti e altrettanti onesti, una coppia di spietate evase, un’infermiera killer cocainomane e un’agenzia di pompe funebri a conduzione famigliare, della quale fa parte la sedicenne Ethelrida Smutny (Emyri Crutchfield). È lei la voce narrante, la testimone oculare e il baricentro su e intorno al quale si snodano i fatti di sangue che termineranno con un’inevitabile mattanza.
La quarta stagione di Fargo segue alla lettera le dinamiche che da secoli animano i conflitti armati tra nemici appartenenti alla sfera malavitosa
Chi ha dimestichezza con la serie creata da Noah Hawley, ispirata a sua volta al cult omonimo dei Fratelli Coen del 1996, saprà già che si tratta un nuovo capitolo di una raccolta antologica. Stavolta andiamo molto a ritroso nel tempo per raccontare una lotta per il controllo dei traffici in una terra di tutti e al contempo di nessuno. Qui l’unica “legge” è quella dettata e imposta con la forza dalla malavita più o meno organizzata, con la conta dei morti che episodio dopo episodio cresce sempre di più e non risparmia nessuna delle fazioni in campo. Si assiste così a un botta e risposta che avrà un armistizio con un solo vincitore, ossia il grande Potere malavitoso che tentacolare agisce nell’ombra. Motivo per cui Fargo 4 segue alla lettera le dinamiche che da secoli animano i conflitti armati tra nemici appartenenti alla sfera malavitosa, dove anche il bene è costretto a scendere a patti e a sporcarsi le mani. Nessuno è dunque innocente, persino coloro che all’apparenza sembrano stinchi di santo, ma che in realtà nascondono anch’essi degli scheletri nell’armadio o che si vedono costretti a utilizzare escamotage per ottenere quello che vogliono.
Fargo – Stagione 4: scelte di cast discutibili e pochi personaggi veramente efficaci
A fronteggiarsi quindi non sono il bene e il male, bensì le diverse sfumature di quest’ultimo che si materializzano sullo schermo attraverso una campionario piuttosto vasto di cattive presenze, alcune delle quali del tutto fuori controllo come nel caso di Gaetano Fadda, mafioso dal grilletto facile e senza pietà, interpretato dal Savastano junior di Gomorra, ossia Salvatore Esposito, che a differenza dell’acclamata serie made in Italy, qui dà vita suo e nostro malgrado a una maschera troppo sopra le righe e poco credibile. Problema, questo, riscontrabile in gran parte dei colleghi di set, italiani e non, costretti a causa della scrittura a dare corpo e voce (consigliamo di evitare la versione doppiata) a figure stereotipate, per non dire a macchiette. I primi episodi avevano già sottolineato un limite che con lo scorrere dei restanti si farà ancora più evidente. Pochi personaggi, in gran parte secondari, risulteranno a conti fatti più riusciti, poiché disegnati su modelli non preconfezionati e lontani dall’immaginario. Stiamo parlando dell’infermiera Oraetta Mayflower e dello US Marshall Odis Weff, rispettivamente interpretati da dei convincenti Jessie Buckley e Jack Huston. Sono le loro perfomance le note positive di un prodotto altrimenti discontinuo, nel quale le scelte di cast per quanto ci riguarda non sono state nella stragrande maggioranza dei casi all’altezza della situazione e penalizzate ulteriormente da una scrittura spesso priva di lucidità.
La nota positiva di Fargo 4 è la regia a più mani, capace di regalare guizzi tecnici e scene d’impatto nel corso degli undici episodi
La stagione di turno ha quindi delle lacune che non permettono alla serie di mantenere gli standard narrativi e drammaturgici ai quali ci avevano abituati i capitoli precedenti, a cominciare dalla season inaugurale. La scialuppa di salvataggio semmai è rappresentata dalla messa in quadro più che dalla confezione, con la regia (Dearbhla Walsh, Dana Gonzales, Michael Uppendahl e Sylvain White) che fatta eccezione per la direzione attoriale riesce a regalare allo spettatore qualche guizzo tecnico efficace e di forte impatto (dalla rapina con sparatoria al mattatoio di Raddoppiarlo all’imboscata tra le fiamme ai danni di Calamita in La finta guerra, passando per la cattura delle evase alla stazione ferroviaria di Il nadir in stile Gli Intoccabili e la sparatoria a tre nella stazione di servizio nel mezzo di un uragano nell’episodio in bianco e nero dal titolo Est/Ovest). Questo per dire che non è tutto da dimenticare, perché la tensione non manca e si assiste a un crescendo che merita la visione. Peccato che non tutti gli ingranaggi siano perfettamente oleati quanto basta per fare funzionare il meccanismo alla perfezione come nelle stagioni precedenti. C’è un calo, probabilmente fisiologico, quello che colpisce le lunghe serialità. Prendiamolo come un campanello d’allarme per fare meglio e di più, rimettendo mano alla lama affilata del politicamente scorretto, alle atmosfere torbide, agli intrecci fatali delle passate stagioni e lasciando a casa le flatulenze che le nostre povere orecchie hanno dovuto sentire nel corso degli episodi per farci disprezzare la fazione bifolca e volgare degli italoamericani. Solo così Fargo tornerà agli antichi splendori e potrà recuperare l’essenza della sua matrice.