Fatma: recensione della serie crime-thriller Netflix
Dalla Turchia una miniserie che gli amanti delle storie di vendetta al femminile non possono assolutamente lasciarsi sfuggire, con una strepitosa Burcu Biricik nei panni della protagonista. Dal 27 aprile su Netflix.
Che Netflix abbia deciso di puntare sempre di più sulla Turchia lo si capisce dal numero crescente di produzioni originali e non cinematografiche e seriali che stanno via via trovando posto nel suo catalogo. Così dopo il successo di titoli come The Protector, The Gift, Paper Lives o Have You Ever Seen Fireflies?, il colosso dello streaming a stelle e strisce ha finalmente rilasciato, a due anni dall’annuncio della realizzazione, la miniserie Fatma. Nei sei episodi (da 40’ circa cadauno) che la compongono, il creatore Ozgur Onurme e il co-regista Ozer Feyzioglu raccontano le tragiche disavventure di una giovane donna di nome Fatma Yilmaz, una comune domestica che lotta per la propria sopravvivenza e per quella del figlio autistico mentre cerca il marito Zafer misteriosamente scomparso nel nulla dopo essere stato rilasciato di prigione. Purtroppo l’amato figlio perderà la vita, ma dietro quella morte e la fuga del consorte si cela una tremenda verità, che una volta venuta a galla scatenerà la sua furia omicida.
Fatma: la storia di una donna che per vendetta si trasforma in una dispensatrice di morte
Ciò che si delinea è il classico percorso di vendetta, quello che da decenni alimenta il filone del revenge movie con giustizieri fai da te che in questo, come in altri casi (da Lady Snowblood a Kill Bill, da Lady Vendetta a Il buio nell’anima e Peppermint) vedono delle donne trasformarsi in “angeli” dispensatrici di morte. Fatma lascia dietro di sé una scia di cadaveri e di sangue, quello delle persone che direttamente o indirettamente sono responsabili delle dolorose perdite subite. Un cammino che la riporterà prima al suo villaggio di origine per chiudere i conti con il passato e poi nella questura della metropoli dove si è trasferita per mettere una volta per tutte la parola fine alla questione.
Ma se la vendetta è come ci hanno mostrato in più di un’occasione un piatto che va servito freddo, tanto che in molte vicende analoghe abbiamo visto i diretti interessati coltivarla addirittura per anni prima di consumarla, alla protagonista di Fatma sono sufficienti una manciata di settimane per venire a conoscenza della verità e scatenare nell’immediato un’incontrollabile furia omicida. Uno dopo l’altro, come nella celeberrima lista della sposa tarantiniana, i responsabili cadranno sotto i suoi colpi, con ogni crimine che si trasforma in una liberazione personale non solo per quello che le accaduto di recente, ma anche per quello che ha dovuto subire in passato. Dopo anni di dolore e infelicità represse riemergono la sofferenza e i traumi di una bambina vittima di abusi domestici. La morte del figlio finisce con l’innescare una reazione a catena che la porta a combattere una doppia battaglia: quella con se stessa e quella con i poteri forti dei cosiddetti intoccabili.
Fatma: un epilogo che fa davvero male e che ribalta tutto
L’architettura narrativa di Fatma si sviluppa orizzontalmente in maniera cronologicamente non lineare per via di flashback innestati nella timeline dei singoli episodi, che riavvolgono le lancette dell’orologio per riportare la protagonista e di riflesso lo spettatore alla scoperta dei dolorosi trascorsi della donna e della sua vera identità. Ogni capitolo si conclude con un omicidio, quasi a scandire le tappe del suo percorso di sangue, sino a un epilogo che fa davvero male e ribalta tutto, lasciando negli ultimi fotogrammi uno spiraglio aperto per una seconda stagione. Cosa che ci auguriamo fortemente vista la potenza e la qualità sprigionate da questa serie made in Turchia, che non merita assolutamente di passare inosservata, soprattutto agli occhi di coloro che amano le storie di vendetta al femminile.
Fatma: un tessuto narrativo nel quale dramma sociale e vendetta personale si fondono senza soluzione di continuità
Il ritmo febbrile impresso dagli autori alla narrazione sin dall’incipit del pilot, con picchi elevatissimi di tensione (il confronto verbale con la prostituta, il faccia a faccia con il marito nel mercato e quello con la sorella sul tetto della questura) e azione (l’omicidio nella stazione ferroviaria e l’inseguimento nel bosco) che si palesano in ogni episodio, è il marchio distintivo di una miniserie che mescola sapientemente crime e thriller, tirando in ballo, senza strumentalizzarli, temi complessi come la malattia, gli abusi, la piaga delle mogli bambine e la corruzione a vari livelli. Riprova, questa, che la serialità di genere può farsi carico di argomentazioni dal peso specifico rilevante, per poi inserirle in un tessuto narrativo nel quale dramma sociale e vendetta personale si fondono senza soluzione di continuità. Il tutto per mano di un personaggio ben costruito e tridimensionale, che funge da catalizzatore anche grazie alla straordinaria performance fisica e attoriale di Burcu Biricik, vero e proprio valore aggiunto della serie.