Finding Ola: recensione della serie TV egiziana Netflix
Ola, ex farmacista in circa di marito, torna per un secondo capitolo della sua avventura esistenziale: abbandonata dal marito, deve ricominciare tutto daccapo. O, forse, cominciare proprio. Da sé stessa.
A dodici anni di distanza da Ayza Atgawez, l’attrice tunisina Hend Sabry torna, in Finding Ola – dal 3 febbraio 2022 nel catalogo Netflix –, a interpretare il personaggio di Ola Abdel Sabour, allora farmacista alle soglie dei trent’anni e talmente ansiosa di accasarsi da collezionare fidanzati improbabili, ora casalinga quarantenne lasciata all’improvviso dal marito psichiatra. Il desiderio che la faceva spasimare – impalmare un uomo prima che diventasse troppo tardi, per tempistiche dettate da norme sociali rigidamente interiorizzate – si è realizzato, saturando nel mantenimento dell’ideale della felicità coniugale ogni altra mancanza: Ola ha, infatti, abbandonato il lavoro per dedicarsi interamente alla cura del marito e dei due figli nati dall’unione.
Finding Ola: l’ex farmacista single si ritrova sposata con due figli, ma il marito l’abbandona all’improvviso
Quando l’abbandono subìto all’improvviso la costringe a mettere in discussione le scelte di vita compiute, Ola si ritrova a confrontarsi con l’angoscia affannosa e fino ad allora tacitata del confronto con sé stessa, disarcionata dalla posizione di figura accudente e lanciata nel corpo a corpo con la propria solitudine, con il vuoto identitario, prima ancora che affettivo, che costringe a crescere. Nonostante la protagonista di Finding Ola sia una donna anagraficamente matura, la serie somiglia a un coming-of-age: è, infatti, il racconto di un processo non tanto di ricostruzione, ma di costruzione vera e propria di una soggettività che nel matrimonio e nella maternità aveva cercato identificazioni definitive e realizzanti trovandovi, invece, solo paraventi di una ben più profonda fragilità del sé.
L’ambiente di riferimento – la media borghesia egiziana – emerge ben delineato anche se talvolta con tratti di grossolano macchiettismo e ancor più irritante disinteresse per realtà meno privilegiate, ma, del resto, non sembra, differire molto da certi contesti altolocati delle nostre società europee: l’immaginario del successo è solidamente ancorato al primato dell’autorealizzazione imprenditoriale su forme di appagamento meno legate a risultati tangibili ed ostentabili.
Finding Ola: Ola ricomincia da sé e scopre che tutto è ancora da fare
In ogni modo, Finding Ola, sebbene approfondisca poco le psicologie dei personaggi e mantenga in superficie ogni nodo relazionale, ad eccezione forse soltanto del rapporto tra Ola e la madre giuntale in soccorso, ha il grande merito di contribuire allo smantellamento dell’ideale sacrificale della casalinga, mostrando come anche le più irriducibili vestali del focolare stiano imparando che nessuna narrazione può snocciolarsi definitiva, ma che ognuna va disfatta e rifatta in base alle diverse contingenze dell’esistenza, imprevedibile solo quando non vorremmo e mai quando aneliamo al cambiamento. Il rapporto tra pari – la sorellanza con l’amica Nesrine – sembra, inoltre, riguadagnare poco a poco l’importanza sottrattogli dalla centralità della relazione coniugale.
In fondo Finding Ola riapre un capitolo chiuso dodici anni per dirci che non c’è mai happy ending possibile: l’ex farmacista in cerca di un marito, finalmente lo trova per scoprire non solo che nessuna condizione – anche quella più bramata – sfugge alla provvisorietà (e all’ambivalenza) dei sentimenti, ma anche che quello che si desiderava, una volta ottenuto, si rivela altro da sé. Cosa fosse, in una prospettiva al futuro anteriore (il sarà stato…), non è possibile saperlo, perché la vita, per non spegnersi, ha bisogno di desiderare soprattutto quello che non ha e che non sa.
Come capita a Ola in questa serie in sei episodi, è proprio quando tutto deve ricominciare daccapo che si comprende che non è mai nemmeno cominciato: solo così la corsa riprende e si può diventare sé stessi. In attesa di un altro rovescio, di un altro improvviso spariglio identitario. Il finale dello show spezza la ciclicità dell’eterno ritorno all’uguale per consegnare la nostra eroina al domani, perfettamente a suo agio nella consapevolezza che tutto può e deve succedere. Ma perché tutto possa e debba accadere – ora, finalmente, lei lo sa – bisogna rinunciare agli schemi e alle loro castranti garanzie.