Fleming: Essere James Bond – la recensione della miniserie BBC
Gli anni da agente del controspionaggio di Ian Fleming, ispirazione per il suo eroe più famoso, sono al centro dell'affascinante miniserie BBC, la recensione
Pochi scrittori possono vantarsi di avere avuto una vita emozionante e movimentata come quella dei propri eroi letterari, e uno di questi è sicuramente Ian Fleming, creatore del personaggio di James Bond, uno dei personaggi letterari e cinematografici più famosi al mondo, pronto a tornare nuovamente sul grande schermo. Brillante agente del controspionaggio inglese, playboy poco incline al rispetto dell’autorità e amante dei metodi anticonvenzionali, Ian Fleming ha felicemente tratto spunto dalla sua vita e dalla sua persona per la creazione del proprio eroe, allo stesso modo in cui la BBC, nel 2014, si è lasciata ispirare dalla sua biografia per realizzare la miniserie in quattro episodi dal titolo Fleming: Essere James Bond (Fleming – The Man Who Would Be Bond), un prodotto che racconta, opportunamente romanzati ma molto fedeli alla realtà storica, gli anni cruciali della formazione dello scrittore.
Non è azzardato operare un parallelismo tra l’operazione di riscrittura del personaggio di Fleming attuata dal canale inglese e quella fatta da Ian stesso durante la stesura dei suoi libri. Se Fleming prese spunto dalla sua vita e dalle sue vicissitudini, gli autori di Fleming – Essere James Bond riprendono, nel raccontare la storia dello scrittore, alcuni tratti distintivi della saga cinematografica dedicata alla spia inglese: è il caso della sequenza di apertura del primo episodio, un mix di suspance e romanticismo immerso nel mare tropicale con una bellissima donna in costume da bagno a catalizzare l’attenzione. Lungi dal diventare un compiaciuto meccanismo di autoreferenzialità fine a sé stesso, l’inserimento discreto di questi dettagli nella storia crea un’interessante dialettica tra l’autore e la sua creatura, che si rincorrono fino a riassumersi in un tutt’uno, arricchendo ulteriormente i personaggi messi in scena e offrendo una piacevole sorpresa per i fan di James Bond.
Fin da subito appare evidente il bisogno di Fleming, interpretato da Dominic Cooper (Preacher), di reinventare sé stesso, di riscrivere la sua storia e la sua identità per sfuggire al terrificante complesso di inferiorità che scaturisce dal confronto con il padre e il fratello, entrambi di grande successo. Uno dei temi ricorrenti di tutta la miniserie è infatti l’autorealizzazione del protagonista, il suo bisogno di affermare la propria individualità come indipendente da quella del padre e del fratello e di pari valore rispetto a loro. Per questo motivo da un lato Fleming nasconde parte di sé stesso in ogni sua creazione, dalla costruzione del personaggio del cadavere da far trovare ai tedeschi, fino al suo eroe di carta e inchiostro, in una costante ricerca di approvazione delle proprie idiosincrasie; dall’altro lato, invece, Ian fugge in continuazione dalle persone che gli sono più vicine in modo da occultare tutto ciò che potrebbe tradire la sua vera personalità di cui appare tanto insicuro, celandosi dietro una maschera di cinismo anche con le donne che ama.
Le avventure romantiche di Fleming scorrono parallelamente a quelle militari, diventando talvolta il vero focus della narrazione. Muriel e Ann si contendono il cuore del protagonista, diviso tra l’amore romantico e idealizzato della prima e quello invece passionale e violento della seconda; un triangolo amoroso risolto piuttosto velocemente, per la verità, a causa della morte prematura di Muriel, un personaggio tristemente insipido che lascia un segno solo nella memoria di Fleming.
Di ben diverso calibro è invece Ann O’Neill, interpretata da Lara Pulver (Edge of Tomorrow, Underworld: Blood Wars e la serie televisiva Sherlock). Sensuale femme fatale disinvolta e affascinante, Ann ammalia fin da subito il giovane Fleming, instaurando con lui un gioco di fughe e inseguimenti sottolineati anche dalla regia, che in queste scene indulge nei pochi virtuosismi che si concede, soffermandosi su dettagli (gli occhi, le labbra) e piccoli movimenti dei due protagonisti. La natura distruttrice della relazione tra Fleming e Ann è lasciata presagire fin dalla scena del loro primo bacio, scambiato durante un bombardamento e accompagnato dall’esplosione delle finestre alle loro spalle, che incornicia i due amanti di schegge di vetro; da quel momento è un susseguirsi di scene sempre più violente tra i due, che culminano in un apparente stupro in seguito al quale, tuttavia, Ann si dimostra assolutamente padrona del gioco che sta conducendo. L’amore tra Ian e Ann è devastante e disordinato, un’incursione del caos nella vita di Fleming che neanche il matrimonio riesce a domare, come dimostrato dalle scene ambientate a GoldenEye nel primo episodio.
Poi, ovviamente, c’è la guerra. Al contrario delle sue esperienze romantiche, le vicende belliche di Fleming seguono un andamento discontinuo, quasi una serie di affondi in momenti particolarmente significativi per la vita del futuro scrittore: vediamo, infatti, il suo arruolamento nella marina inglese, la sua missione in Francia per recuperare la flotta dell’ammiraglio Dorlan prima che finisca in mano ai tedeschi, la formazione di una squadra di agenti speciali per missioni oltre le linee nemiche e, infine, la sua prima e unica esperienza al fronte, oltre le linee tedesche e sovietiche.
Nel corso delle diverse esperienze militari è evidente l’attenzione dedicata alla minuziosa costruzione del personaggio di Fleming, protagonista di una costante crescita resa evidente dal raffinarsi degli stratagemmi che propone per vincere la guerra; allo stesso tempo si è scelto di evidenziare sempre anche le sue lacune, come l’insofferenza nei confronti dell’autorità e la scarsa esperienza sul campo. Questa continua disparità, inizialmente sottolineata dallo stesso Ian come un difetto, è in realtà il tratto che più di tutto rende il protagonista una persona reale e credibile, con cui è possibile entrare in sintonia. Le abilità di cui è dotato Ian, come l’inventiva e la passione per le soluzioni anticonvenzionali, sono certo innate, ma anche frutto di un costante allenamento e studio, mentre, al contrario, i suoi fallimenti nella pratica sono dovuti alla sua inesperienza sul campo di battaglia; è molto intelligente, quindi, il fatto che Ian sopravviva alla sua unica esperienza al fronte usando dei trucchi e dei sotterfugi quando il suo tentativo di mettere in atto la tecnica militare si rivela un fallimento. Ian è un insieme perfettamente calibrato di abilità e incompetenze, di conoscenze e inesperienze che non sfugge mai di mano agli sceneggiatori, sempre consapevoli di chi sia il loro protagonista in ogni istante della sua vita.
Durante le scene di azione e di guerra la miniserie mostra tutti i suoi limiti, soprattutto nell’uso degli effetti speciali, evidenti ad esempio nelle esplosioni del secondo episodio, troppo controllate e circoscritte per non apparire decisamente artificiose. Molto più a suo agio nelle scene mondane, che costituiscono il corpo principale della serie, la regia racconta la storia di Ian Fleming con capacità e sobrietà, affiancata ad una fotografia suggestiva che adagia la luce sui volti e i corpi degli attori disegnando luminosità e ombre di volta in volta soffuse o marcate, ma sempre molto seducenti. Il cast, guidato da un ottimo Dominic Cooper, si destreggia abilmente in una sceneggiatura che costruisce degli ottimi personaggi ma pecca talvolta nella qualità dei dialoghi, in cui i pochi momenti di vera ispirazione risaltano all’interno di un copione altrimenti senza infamia e senza lode.
Affascinante e anticonvenzionale come il suo protagonista, Fleming – Essere James Bond è una spy story originale e rinfrescante, che punta più sui personaggi e sull’uso disinibito dell’intelligenza e dell’inventiva piuttosto che sull’azione. Un’altra brillante gemma nel panorama della produzione televisiva britannica di qualità, che assicura divertimento facendo luce sulla vita e la personalità di un uomo troppo spesso ingiustamente messo in ombra dalla sua stessa creatura.