For the People: recensione della serie TV prodotta da Shonda Rhimes

For the People, la serie TV in due stagioni che racconta della Corte Federale di New York e delle persone che ci lavorano, prodotta da Shonda Rhimes e con Britt Robertson, è su TimVision dal 14 luglio 2022.

For the People è una serie TV che conta due stagioni e 20 episodi, disponibile su TimVision dal 14 luglio 2022, creata da Paul William Davies e interpretata da Britt Robertson, Jasmin Savoy Brown, Hope Davis, il popolare duca Hastings di Bridgerton Regé-Jean Page e molti altri ancora. Soprattutto, For the People è una serie Tv prodotta da Shonda Rhimes. La potentissima produttrice e sceneggiatrice televisiva, responsabile (con gradi diversi di coinvolgimento) di alcuni dei più clamorosi successi della televisione americana degli ultimi decenni, da Grey’s Anatomy a Le regole del delitto perfetto per finire, ma solo per il momento, con Bridgerton, lascia la sua impronta anche su questa serie qui, che di base è un procedurale giudiziario.

Siamo nel Tribunale del Distretto meridionale della Corte Federale di New York, uno degli ultimi grossi step, all’interno della piramide giudiziaria americana, prima della (molto ammaccata) Corte Suprema. Che si tratti di una produzione ShondaLand è chiaro dando un’occhiata agli ingredienti principali e anche alla ricetta. C’è un gruppo di professionisti affamati di gloria; sono giovani, carini, inclusivi quanto basta e hanno anche la lingua svelta. For the People cerca, a livello di struttura, di mixare pubblico e privato, vita privata e ansie professionali, riflettendo nel frattempo su società, tensioni politiche, diritti. In questo l’aderenza al modello produttivo di riferimento è piuttosto stringente. Va detto però che, almeno per quanto riguarda i primi episodi, a farla da padrone è il tribunale. Il caos dei sentimenti è sullo sfondo.

For the People: c’è l’accusa, la difesa e in mezzo la Corte Federale di New York

For the People
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Il gioco, alla “Corte Madre“, così nell’ambiente si parla del tribunale di New York, è quello solito, a cambiare è la posta. Cambiano, questo For the People ha cura di farcelo capire senza troppi giri di parole, le premesse, le conseguenze, il peso specifico di ogni sentenza. Pur sempre un gioco, così almeno lo vedono i protagonisti. La consueta, geometrica e rassicurante armonia, cortesia di secoli e secoli di evoluzione delle pratiche giudiziarie: da una parte l’accusa, dall’altra la difesa.

A capo del team difensivo c’è Jill Carlan (Hope Davis). Prende in carico tre dei cuccioli più promettenti, della nidiata portata all’attenzione e alle amorevoli cure della Corte Madre. Sandra Bell (Britt Robertson) è la cosa che più somiglia a una protagonista, per una serie che per struttura e vocazione punta molto sulla coralità (dell’azione, delle interpretazioni). Ha compassione, un’etica del lavoro impressionante, un senso della giustizia così radicato che la cosa a volte rischia di metterla nei guai con i superiori. Vive e lavora a fianco della sua migliore amica, Allison Adams (Jasmin Savoy Brown). Ricca, ambiziosa e intelligente, anche leggermente accentratrice. Jay Simmons (Wesam Keesh), il terzo anello della catena, è la voce dell’America nuova, multietnica e aperta al cambiamento. Una certa ingenuità di fondo ne fa un comodo veicolo di umorismo e lascia presagire un arco narrativo soddisfacente, perché c’è spazio per il cambiamento nel suo modo di fare.

Poi c’è l’accusa. Kate Littlejohn (Susannah Flood), macchina da guerra di inaudita competenza e pignoleria, vagamente disumana nel suo approccio al mestiere e alla vita in sé. Leonard Knox (Regé-Jean Page) è arrogante e ambizioso, per via anche di parentele influenti. Seth Oliver (Ben Rappaport) completa l’alchimia caratteriale del trio cercando di bilanciarne gli eccessi con spazi inediti di vulnerabilità e imperfezione. Seth è il fidanzato di Allison, il rischio di scontrarsi con la compagna in tribunale è molto alto, questo è uno dei pochi momenti in cui la serie trova il modo di coniugare, con un certo grado di soddisfazione, il discorso intimo e professionale dei personaggi. Per il resto, l’enfasi data allo studio e all’esplorazione di tribunali e procedure non lascia spazio alla definizione delle psicologie. Almeno all’inizio si va per sentieri stereotipati. Questo vale anche per il capo del team dei prosecutors, generalizzando sarebbero i pubblici ministeri, Roger Gunn (Ben Shenkman). Cinico ma non sprovvisto di umanità.

For the People: tanti personaggi, poco tempo per approfondire l’attività giudiziaria e l’intimità di che la sceglie per mestiere

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Non si parla di gioco per caso. La maggior parte dei personaggi di For the People è proprio così che inquadra la professione e le sue sfide. Poche cose sono più serie di un gioco ben condotto; l’eccitazione, l’attesa, i nervi saldi nel momento del confronto con il collega/rivale, la delusione o l’ebbrezza del risultato. Orson Welles sosteneva che il cinema fosse il più bel trenino elettrico mai inventato. Non ci sono dubbi su quale trenino sceglierebbero i protagonisti della serie. Quello che manca, al racconto, è uno scavo psicologico più corposo. Dietro l’entusiasmo, la tensione e l’eccitazione con cui questi giovani impulsivi ma dotatissimi avvolgono ogni aspetto della loro avventura giudiziaria, si nasconde un sottile equilibrio morale che meriterebbe di essere analizzato con scrupolo. Perché questo gioco, condotto con dignità e rigore, si spiega comunque sulla pelle di esseri umani.

For the People è una serie ad ampio spettro su un tribunale e i professionisti che ci lavorano. Ha molti personaggi e poco tempo per curarsi di loro, non c’è spazio per sottigliezze quando si tratta di disegnare i caratteri e questo toglie brio al racconto, che infatti si muove con una certa rigidità. Va dato merito alla scrittura intelligente di Paul William Davies di aver puntato sulla sobrietà e su un approccio per nulla melodrammatico. Un sentimentalismo degenerato legherebbe poco con la storia generale, la tendenza (qui scampata) a una serialità troppo “urlata” costituisce generalmente un angolo di vulnerabilità per le produzioni a firma ShondaLand. Un punto di forza genuino della serie lo porta in dote l’impressione di arguzia e incisività offerta da dialoghi veloci e ben strutturati. L’impressione generale è che For the People abbia capito quale sia il taglio giusto da dare alla storia. Cerca di estrarre qualcosa di vero e profondo, sulle donne e gli uomini messi al centro della storia, partendo dalla professione e proseguendo con l’esplorazione di un mondo, quello della giustizia, di cui cerca di illuminare le regole, le procedure, i rituali, le zone d’ombra. Gli manca però il coraggio e forse anche l’immaginazione necessari per legare il quadro generale al ritratto intimo, l’analisi dei grandi temi (giustizia, società e politica) con le piccole grandi insidie quotidiane. Un percorso seriale con un certo grado di ambizioni che però, frenato dai suoi limiti, non spicca il volo.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3