Frontiera verde: recensione della serie TV colombiana Netflix
La giovane detective Helena viaggia nelle profondità dell'Amazzonia per indagare su una serie di bizzarri omicidi. Si renderà presto conto che la giungla nasconde intrighi, misteri e segreti che non è disposta a rivelare...
Frontiera verde, primo originale Netflix made in Colombia (ma il regista Peter Webber potrebbe dissentire: anche il suo Pickpockets è stato girato nello Stato sudamericano, e ben due anni fa) risulta estremamente attuale e contemporaneo per due precise ragioni. Anzitutto, il pedigree creativo di Ciro Guerra, talentuoso autore 38enne che ha sorpreso le platee internazionali con El abrazo de la serpiente nel 2015 e che negli stessi giorni del lancio della serie TV è finito anche nel concorso ufficiale di Venezia 76 con la sua prima produzione statunitense, Waiting for the Barbarians (cast all star formato fra gli altri da Johnny Depp e Robert Pattinson).
La seconda motivazione lega l’uscita della miniserie agli sfortunati eventi che stanno accadendo in Amazzonia, con i terribili e indomabili incendi che stanno devastando quello che viene definito “il cuore pulsante della Terra”. È proprio nell’immensa selva pluviale tropicale che è ambientata Frontiera verde, sorta di thriller sovrannaturale che mette una giovane agente di polizia inviata da Bogotà di fronte a un torbido e misterioso caso di omicidio che riguarda alcune missionarie e una indio a cui è stato strappato il cuore.
Frontiera verde: Madre Giungla, l’origine di tutto
L’impronta ormai inconfondibile di Guerra – che produce e dirige il primo degli otto episodi, The Deep Jungle (Nel profondo della giungla) – rende Frontiera verde un unicum nel panorama audiovisivo contemporaneo, un oggetto alieno e indefinibile al pari del sopraccitato El abrazo de la serpiente e del successivo Oro verde (2018). Siamo di fronte, per quanto possa valere tale definizione, al più tradizionale degli whodunit: un giallo deduttivo basato su indizi più o meno fuorvianti, che pone lo spettatore sullo stesso piano del protagonista. Un grande classico, insomma, non fosse che l’ambiente predominante in cui si svolge la vicenda diventa personaggio a sé stante.
La giungla è Madre Giungla, origine di tutto, luogo che contiene moltitudini. Il fitto del bosco è giardino dell’Eden, terreno incontaminato e grembo materno; ma è assieme anticamera di un inferno popolato da contrabbandieri, soldati, turisti, popolazioni indigene in sanguinosa lotta, cacciatori. Nel momento in cui la detective Helena entra a contatto con questa nuova – ma non sconosciuta – realtà, nulla sarà come prima: la sua storia personale (fatta di privazioni, di un trauma mai del tutto affrontato, di una generale sottovalutazione in ambito lavorativo) si mescola e si intreccia con quella dell’omicidio. E la generosa Natura diventerà anche per lei una matrigna di cui diffidare.
Frontiera verde: c’era una volta in Colombia
Fra cimiteri indigeni, rituali ancestrali, superstizioni che sostituiscono le leggi e oscure sette religiose formate da sole donne, Frontiera verde espone un campionario per nulla banale (e il rischio, lasciatecelo dire, era altissimo) di misteri e imprevedibili percorsi. Una proposta aulica, fantasmatica, persino spirituale, che attraverso le sue numerose scene oniriche e metafisiche eleva la narrazione verso una dimensione allegorica. Una visione impegnativa e a combustione lenta, che dopo aver seminato ed esposto le proprie ragioni nei primi quattro episodi, alza la posta in gioco e appaga nel lungo epilogo.
Da questo punto di vista, l’unico paragone possibile – se proprio è necessario farne uno – è con The New World – Il nuovo mondo (2005) di Terrence Malick. Stesso tocco poetico, stessa intensità, stessa potente contrapposizione fra bene e male e fra “indigeno” e “forestiero”: se l’uomo bianco, con l’ossessione per la scoperta scientifica, vuole di fatto colonizzare persino i luoghi dello spirito, gli indio comprendono che c’è qualcosa di più grande da cui possono ricevere qualche miracolosa protezione o guarigione. A loro rischio e pericolo, perché – e sembra essere questo il messaggio conclusivo della serie – c’è una forza oscura che minaccia la giungla, qualcosa di ancora più terribile delle motoseghe e delle ruspe che deturpano la foresta: l’appropriazione culturale da parte di un bianco. In ogni sua possibile sfumatura.