Gli orologi del diavolo: recensione della serie Rai con Beppe Fiorello
Tratto dalla storia vera di Gianfranco Franciosi, Gli Orologi Del Diavolo ricostruisce con ritmo oculato e cura nella messa in scena il racconto di un uomo che senza alcuna possibilità di scelta si trova nella morsa tentacolare della mafia italo-spagnola.
Punta de Tarifa, Andalusia. 2009. Sull’estremità più a Sud d’Europa che si affaccia a est sullo sconfinato Oceano Atlantico e ad ovest sul Mar Mediterraneo, un uomo sta per imbarcarsi su un gommone in attesa di sfrecciare sul mare e tornare ad essere finalmente libero. Quello che sta per compiere è forse l’ultima tappa di un’agognante odissea iniziata nel settembre di tre anni prima, quando Marco Merani (Beppe Fiorello), protagonista di questa vicenda, stringerà la mano al signor Polverone, inconsapevole che la mano con la quale ha siglato simbolicamente un accordo lavorativo, ha indosso l’orologio/manetta che imbriglierà anche il suo polso alcuni mesi dopo.
Inizia con un inedito flashforward, il pilot della nuova miniserie in onda da lunedì 9 Novembre in quattro puntate che, attraverso un lavoro di collaborazione fra Rai e Mediaset España, porta sul piccolo schermo e sulla piattaforma di Rai Play la storia vera di Gianfranco Franciosi, l’uomo che a soli 25 anni da semplice meccanico navale si ritrova a fare i conti con una realtà finora a lui sconosciuta, fatta di spaccio di droga e organizzazioni criminali che clandestinamente agiscono nel triangolo dei porti italiani, spagnoli fino a quelli più noti del Venezuela. Franciosi, di questa vicenda che inevitabilmente lo ha catapultato, suo malgrado, in un viaggio all’inferno fra camorra e narcos, ha scritto in collaborazione con Federico Ruffo Gli Orologi del Diavolo. Gianfranco Franciosi, la storia dell’infiltrato nei narcos tradito dallo Stato, libro da cui il regista Alessandro Angiolini ne trae l’intera serie.
Da semplice motorista a infiltrato. Gli orologi del diavolo è la (vera) storia di Marcolino soprannominato “El mecánico”
Quando Marco scopre che i gommoni da lui stesso costruiti sono diventati il mezzo di trasporto di un immenso traffico di droga, l’uomo si rivolge a Mario (l’ottimo Fabrizio Ferracane) suo amico ma soprattutto agente dello SCO che da anni sta seguendo i narcotrafficanti senza però ottenere alcun risultato. Marco dunque è l’esca perfetta, l’unica rete possibile da gettare in mare e far emergere dall’acqua i pesci più grandi. Da essere celebrato come uno dei motoristi più abili dello stivale e marito amorevole di Flavia (Nicole Grimaudo) con la quale condivide la figlia Joy (Gea Dall’Orto), Marcolino agli occhi di Aurelio Vizcaino (Alvaro Cervantes), il giovane boss spagnolo dell’organizzazione, assume il (beffardo) nome de “El mecánico”. L’inizio della fine dunque. La presa di coscienza dell’ essere immerso fino al collo in acque che lasciano uno spazio nullo al libero arbitrio, alla volontà ormai inesistente di dire no, tirarsi indietro, continuare con la propria vita ordinaria da “semplice meccanico”.
Gli orologi del diavolo: Il tempo, il mare e il rumore dei motori come richiami simbolici di un racconto convincente
Tra il ticchettio delle lancette e la roboante sonorità dei motori, l’episodio che apre Gli Orologi del Diavolo sembra rimandare ad alcuni pluri simbolismi interessanti che racchiudono non solo una messa in scena curata nella luminosa scelta cromatica delle assolate estati costiere e le dune sabbiose della spagna, ma sembra voler contenere alcune immagini emblematiche per nulla scontate in un racconto televisivo di una tv generalista. Preso atto della costante e sempre più esigente qualità anche nel racconto seriale, nel pilot, il cui intento è quello di aprire il racconto e di rimando solleticare l’attenzione dello spettatore, è pregevole l’attenzione registica di controllare e bilanciare il ritmo narrativo, l’uso del voiceover e la progressiva cronaca di un uomo qualunque che sta inconsapevolmente camminando sulle sabbie mobili.
Se è il tempo dunque a scandire la divisione temporale delle tappe della vicenda, il mare in tutta la sua vastità è altresì un altro centro pulsante del racconto a cui vengono affidati altrettanti significati. Da luogo per dire l’ultimo addio alla madre a fonte di sostentamento lavorativo, il Mediterraneo è anche lo spartiacque tra i traffici illeciti diventando così spazio simbolico d’incontro di civiltà e luogo “altro” per la costruzione di loschi accordi multinazionali. Tra originalità e necessità tipica delle fiction nel dover bilanciare diversi generi, il primo episodio de Gli orologi del diavolo getta le basi di una storia vera che incarna nel corpo tatuato e nel volto spaventato di Beppe Fiorello una realtà cruda e invisibile in un’Italia da svelare e che lavora sottotraccia.