Glória: recensione della serie tv portoghese su Netflix
Prima produzione Netflix realizzata in Portogallo per un thriller spionistico dal ritmo altalenante che ha il grande merito di drammatizzare un capitolo misconosciuto della Storia europea recente.
Glória, prima produzione lusitana firmata Netflix, si configura come una spy-story classica, ambientata, però, in un tempo e in uno spazio inediti, privi di rappresentazione precedente: un Sessantotto portoghese compresso tra autoritarismo interno e complicità con la politica antisovietica degli Stati Uniti.
Glória, una mini-serie che entra nella RARET, l’emittente radio incaricata dal regime Salazar di contrastare l’ideologia comunista
In dieci episodi, che aprono e chiudono la serie, seguiamo João Vidal (Miguel Nunes), un ingegnere assoldato, in piena guerra fredda, dal KGB per compiere una missione di spionaggio all’interno della RARET, un centro di ritrasmissione di Radio Free Europe, emittente radiofonica statunitense lautamente finanziata dalla CIA perché sfondi la cortina di ferro e spinga contenuti di propaganda anticomunista all’interno dei Paesi dell’Europa orientale sottoposti all’influenza russa. Alle sue peripezie spionistiche si lega il mistero relativo alla scomparsa di Mia Orlav, l’agente del KGB che lo aveva reclutato.
La sceneggiatura, scritta da Pedro Lopes, interviene su una storia vera: nel 1968, anno in cui la serie è ambientata, la RARET, attiva già dal 1951, è il centro dello scontro ideologico tra USA e Unione Sovietica, le due maggiori potenze emerse all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Il suo quartier generale si trova in un perfetto crocevia tra Est e Ovest: a Glória do Ribatejo, un comune, a 70 chilometri da Lisbona, nel bel mezzo di un ‘nulla’ pianeggiante in cui operare in segreto è tutt’altro che impossibile.
La trasformazione di João, da fascista (per educazione) a spia (per scelta)
João, il protagonista, è figlio di un politico vicino a Salazar, l’economista che, nel 1933, aveva fondato l’Estado Novo, un regime clerico-fascista che sarebbe caduto soltanto negli anni Settanta, dopo essere passato dalla forma di dittatura militare a quella di dittatura monopartitica.
Tornato dalla guerra coloniale in Angola, il giovane ingegnere è costretto ad accogliere il trauma del ritorno e il cambiamento di prospettiva: entrato in contatto con gli ideali degli indipendentisti angolani, sceglie di abiurare il credo paterno – appunto fascista e filoamericano – per convertirsi al marxismo e sostenere, attraverso l’attività di spia e il conseguente sabotaggio della propaganda statunitense, la causa sovietica. Il tradimento che compie è, quindi, duplice: verso il proprio Paese, di cui condanna le responsabilità antidemocratiche e predatorie; e verso il proprio padre, di cui sceglie di ripudiare i valori.
Glória, tra adesione ai canoni di genere e nuove rappresentazioni
Glória, più che avvincere con la sua trama, su cui talvolta aleggia lo spettro della prevedibilità, ha, dunque, soprattutto il merito di concedere a chi guarda l’occasione di scoprire un capitolo della Storia del Novecento poco conosciuto in Europa, senza sacrificare del tutto all’intento istruttivo la suspense essenziale al genere spionistico.
Pagando, forse, una certa discontinuità ritmica, che non è difficile accusare già dopo i primi episodi, sebbene la qualità delle interpretazioni sia mediamente alta, non sempre riesce a stonare da sé un certo immaginario soapopertistico, nell’estetica e nella scrittura dei plot soprattutto sentimentali.
Resta, in ogni caso, un buon prodotto per avvicinarsi a uno snodo affascinante del passato recente del nostro continente, nonché per abbandonarsi alle dilatazioni temporali diramanti dettagli apparentemente accessori, d’improvviso corrette da accelerazioni epifaniche, così care alla tradizione della spy fiction.