Good american family: recensione della serie TV
Su Disney+ dal 9 aprile 2024, Good american family, serie ideata da Katie Robbins, con Ellen Pompeo, è basata su una sconvolgente storia vera.
Good american family, drama Disney+ in onda negli Stati Uniti sul canale Hulu, è ispirata alla storia vera di Natalia Grace, figlia adottiva dei Barnett, affetta da nanismo e che la coppia, con tre figli, decide di abbandonare a seguito di una serie di atteggiamenti e comportamenti che li destabilizzano, oltre che spaventare. C’erano inoltre numerose incertezze riguardo la sua età, la sua precedente famiglia e in generale sul suo passato, così come sul suo Paese d’origine. Disponibile su Disney+ a partire dal 9 aprile 2025 e ideata da Katie Robbins, la serie tv vede nel cast Ellen Pompeo, iconico volto di Meredith Grey, qui in una veste completamente diversa, accanto a Mark Duplass che interpreta il marito Michael, e a una formidabile Imogen Faith Reid nei panni di Natalia. Tra i personaggi secondari figurano Sarayu Blue, Dulé Hill, Kim Shaw, Jenny O’Hara e Christina Hendricks.
Good american family: i Barnett metafora ed emblema di tutto ciò che è giusto, idoneo, opportuno, buono
La contraddizione che vive in ogni personaggio e che regola la serie tv, parte dall’inizio, da quando si vede la protagonista Kristine Barnett parlare a una folla ammaliata da lei: quella donna modello di eccellenza e integrità che impartisce lezioni sulla perfetta genitorialità, un qualcosa che esiste e lei ne è la prova vivente. Ma quella donna amorevole, che sa essere spiritosa e che è ammirata da tutti viene poi arrestata, portata da via da quel palco dove era estremamente a suo agio, con un’accusa sconvolgente: non essersi presa cura e aver abbandonato la figlia adottiva. Si va poi a ritroso, anni prima, quando Kristine è sposata con Michael, sono genitori di tre bambini, tra cui Jake, ragazzo autistico che solo grazie a Kristine è riuscito a rialzarsi da una situazione in cui non parlava e non comunicava in nessun altro modo. E che adesso è tanto geniale quanto tranquillamente inserito. Quando decidono di adottare Natalia, lei è per i Barnett la sorella del quale i loro figli hanno bisogno, una bambina con disabilità che con loro, solo con loro, può trovare l’ambiente giusto per sé.
I Barnett nella loro comunità sono il simbolo di genitori che sanno ascoltare, educare, accogliere e che riescono a far brillare chiunque, anche chi ha il solo privilegio di avvicinarsi alla loro famiglia. Ecco che quando con Natalia questo non accade, tutto cambia. Good american family non colpevolizza nessuna delle due parti, perché probabilmente non si saprà mai la verità o come sono andate realmente le cose. La rappresentazione delle figure principali è infatti complessa e stratificata, nessuno è realmente perfetto né il contrario. Ma non si tratta unicamente di difetti, carenze o semplici imperfezioni. Il confine che la serie tv vuole esplorare è proprio quello tra bene e male, più netto, assoluto e definito. Perché il bene è realmente sinonimo di eccellenza e maestria, come la quintessenza dell’essere madre, e il male è l’incapacità di amare, di provare empatia o rimorso, essere falsi, pericolosi, determinati a influenzare e condizionare le percezioni degli altri per il proprio tornaconto personale.
Kristine, Michael e Natalia: ognuno ha il suo castello di carte
Come le parole di Kristine appaiono vuote nel momento in cui le mancanze di Natalia la portano di fronte a muri che lei non può valicare allo stesso modo Natalia diventa un rischio che nessun genitore dovrebbe correre. Ugualmente anche Michael è cieco di fronte al suo incontrollabile desiderio che Natalia sia quella bambina di cui lui e Kristine avevano bisogno. E qui l’altro tema dello show: Natalia ha bisogno, loro hanno bisogno, entrambi potranno “servire” all’altro. È l’ipocrisia di chi deve dimostrare la loro generosità, a se stessi e agli altri, accertare di essere migliori, è l’adozione e il dibattito che ne consegue; su quanto questa venga del cuore e quanto abbia un doppio fine. Una vicenda, quella di Natalia Grace, che negli Stati Uniti è di dominio pubblico e che sarà eclatante e appassionante per lo spettatore del tutto ignaro del reale caso al quale si ispira. Ma che forse, per chi ne conosce i dettagli, non aggiunge molto altro, mostrando quanto sia labile il confine tra tenacia e paura, e come spesso la seconda possa escludere del tutto la prima.
Così accomodanti, preparati, esperti e abili nel trattare le difficoltà, di fronte a Natalia, Kristine e Michael si scoprono: Kristine non può sentirsi incapace di trovare un punto d’incontro con Natalia, Michael voleva una bambina da accudire e Natalia non lo è; Kristine, tra il proteggere i propri figli e l’allontanarsi da quel male che vede in Natalia, sembra anche star giocando una partita, lei che non può perdere. Ellen Pompeo, con una recitazione artificiosa e che si discosta dalla più spontanea naturalezza che ci si aspetterebbe, è credibile proprio nel suo essere così esageratamente costruita. Pompeo interpreta un ruolo come lo fa il suo personaggio, che da mamma perfetta si trasforma ben presto nell’antitesi di ciò che sembra temere di essere. Natalia la fa diventare esattamente ciò a cui lei non vuole neanche immaginare di poter assomigliare. Eppure Natalia stessa subisce una vera e propria metamorfosi: da bambina adorabile bisognosa d’amore a diabolica manipolatrice, fino a una giovane donna che non può farcela da sola e che, forse, è stata davvero abbandonata.
Nella cittadina del Midwest il sole è più caldo, il prato più verde e i sorrisi più sinceri
La regia di Good american family si muove tra le villette a schiera della più scintillante provincia americana, dove la facciata che tutti vedono deve essere impeccabile, linda e gioiosa. Dalla casa dei Barnett fino al Jacob’s Place. Il maggior motivo di orgoglio e soddisfazione per Kristine, che non manca di ripetere quanto tutto sarebbe stato diverso se lei non avesse, in qualche modo, dato fiducia al figlio Jake. Lo ripete sempre e se ne compiace, soprattutto quando le difficoltà con Natalia sembrano insormontabili. La fotografia è così patinata, lucente e nitida proprio come deve essere l’apparenza di generosità e disponibilità dei Barnett, e di tutti coloro che vivono nella periferia più rispettabile e stimata del Midwest. Tutto ciò che i Barnett toccano risplende di luce propria e Kristine, quando parla del suo impegno per salvare, aiutare e amare tutti i bambini del mondo, abbaglia quegli schermi che la circondano di un’aura positiva.
Eppure Jake, che ha dato il nome al centro che farà la fortuna di Kristine, odia stare di fronte ai riflettori e dice: “basta interviste“. Kristine annuisce, promette che non ci saranno più. Eppure continuano, aumentano e i Barnett sono sulla bocca di tutti. La fotografia diventa poi più scura e buia, e ai colori della prima parte che sono il giallo, il bianco e il rosa si sostituisce un blu e un verde offuscati, opachi, quando Natalia è da sola e la percezione inizia a subire un cambiamento. L’intento primario di Good american family è proprio questo: raccontare la storia da più punti di vista, cambiando prospettiva, facendo sorgere più dubbi di qualsiasi altro show, pur mantenendo però una struttura alla quale ormai si è abituati. Una risoluzione che avverrà o forse no e che sarà nelle aule del tribunale. Aspettando di sapere se si accennerà al passato di Natalia e se la figura più insospettabile riuscirà nel tentativo dove la Madre di tutti i bambini del mondo, Kristine, non è riuscita. Composta da otto episodi, Good american family può ancora sorprendere, ma il suo vero obiettivo è chiaro sia un altro.
Good american family: valutazione e conclusione
Good american family ha l’attrattiva irresistibile di evidenziare ed esporre tutto ciò che è successo, con precisione e con una serie di elementi che inquietano e sconcertano, ma che non stupiscono nella narrazione, nella conformazione e nell’assetto della storia, dei plot twist e dell’organizzazione di come gli ingredienti di trama vengono descritti e condotti. Si sa, dal principio, che le sensazioni si modificheranno, che più punti di vista e più informazioni producono un continuo cambiamento di pensieri e opinioni. Ma, in questo il pregio dello show, quanto questo cambiamento può essere profondo? Riflessioni e argomentazioni, e, probabilmente, non un unica verità. Le sfaccettature della serie tv di Disney+ sono molteplici e si attribuiscono ad ognuna delle sue forme, sia tecniche che emotive. Dialogo, accettazione, perdono, comprensione: forse, suggerisce Good american family, sono queste le caratteristiche principali per instaurare fiducia. Si è fatto quindi tutto il possibile o non si è fatto abbastanza? Speriamo che nelle ultime tre puntate del finale Good american family possa almeno rispondere a queste domanda.
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