Grond: recensione della serie tv Netflix
Dramedy in otto episodi, è la storia di un giovane marocchino di seconda generazione che, nel tentativo di rinnovare il business di famiglia, prova anche a conciliare tradizione e pragmatismo.
Già diffuso l’anno scorso dalla tv generalista belga di lingua fiamminga, Grond (“suolo”) è ora disponibile anche per gli abbonati Netflix dal 17 marzo 2022.
Ismael eredita dal padre marocchino Omar, in comproprietà con la sorella Nadia e l’avido marito di lei Rachid, l’attività di cui il genitore si è occupato per tutta la vita: il rimpatrio dei connazionali defunti in Marocco per ricevere sepoltura. Il giovane, che passava le sue giornate a gozzovigliare insieme all’amico belga Jean-Baptiste, si ritrova così a doversi assumere la responsabilità di far non solo funzionare ma anche prosperare il business di famiglia.
Seppellire gli immigrati di prima generazione, un nodo per chi resta: rimpatriare le salme, come vuole la tradizione, o tumularle in Belgio, come sarebbe sensato fare?
Resosi conto di quanto il rimpatrio delle salme di persone care fosse divisivo per chi, come lui, è immigrato di seconda generazione – che senso ha seppellire chi abbiamo amato lontano da noi solo per seguire una tradizione? – e memore della lezione della madre che, ugualmente, avrebbe desiderato essere tumulata in Belgio, vicina ai suoi figli, e non in Marocco, terra natia, ma, dopo anni di lontananza, sbiadita nel ricordo, Ismael sonda l’arte del compromesso e aggiunge ai servizi della sua agenzia la proposta di effettuare sepolture in Belgio utilizzando, però, il ‘sacro’ suolo marocchino.
Una soluzione che presenta molteplici vantaggi: permette di abbattere i costi di un lungo viaggio – dal Belgio al Marocco, e ritorno – senza tradire la tradizione e insieme di conservare le spoglie di chi è venuto a mancare nel Paese in cui ha vissuto la sua vita adulta e in cui ancora vivono le persone a lui o a lei care. La parte più conservatrice della comunità, però, insorge.
Grond: il gesto fiacco della scrittura per un dramedy al maschile, riuscito solo in parte
Grond, serie tv fiamminga in otto episodi disponibile, dopo un passaggio nella tv nazionale belga, dal 17 marzo 2022 su Netflix, sviluppa un tema di grande attualità e spessore etico: la sorte dei corpi di chi è diviso nell’identità e negli affetti tra due Paesi, due culture, due famiglie. Lo fa con levità e umorismo, in un andamento nel complesso godibile, sebbene senza l’articolazione narrativa che uno spunto tanto importante avrebbe meritato.
La scrittura si concentra, infatti, su complicazioni e compressioni relazionali – all’interno di una famiglia e di una comunità – più che sull’espansione di una trama: ciò non rappresenta di per sé un limite, ma l’estemporaneità del tratteggio rende le psicologie, se non del tutto semplificate, neanche debitamente approfondite e sfaccettate. Anche l’analisi sociologica condotta attraverso i personaggi risulta irrisolta, più abbozzata che compiuta.
L’ironia, che si sarebbe potuta declinare in senso amaro o macabro, nel segno di un intelligente disincanto, si aggrappa alle circostanze di volta in volta mostrate nella loro goffaggine, in un paradosso soltanto superficiale, mai radicale. Lo sviluppo della narrazione cede pertanto presto alla monotonia dell’automatismo, della meccanica di un racconto sì imperniato su una buona idea, ma nato stanco nella realizzazione.
Lamentiamo, inoltre, la mancanza di personaggi femminili – al di là delle due sorelle: quella di Ismael e quella di Jean-Baptiste, entrambe devitalizzate nella rappresentazione, e non per responsabilità delle due interpreti, ma di un difetto originario di scrittura – che infrangano la continuità di un mondo quasi interamente maschile e, per questo rigido, non movimentato ed imprevedibile a sufficienza.
Grond, che può contare su una fotografia seppiata che promette struggimento e malinconie, sembra restare, però, per tutto il tempo del suo scorrimento, indeciso tra humor e pathos, incapace di integrare l’equilibrio tra i due elementi, e, del resto, privo di uno scheletro narrativo robusto, non compensa neppure con il movimento naturale del racconto.