Gypsy: recensione del pilot della serie Netflix con Naomi Watts
Un thriller psicologico potenzialmente avvincente ma che- almeno nella sua puntata d'esordio - manca di quel magnetismo necessario a catturare l'attenzione dello spettatore.
Partenza tiepida per Gypsy, l’attesa serie tv originale Netflix per la regia di Sam Taylor-Johnson e con protagonista Naomi Watts, disponibile sulla piattaforma di streaming a partire dal 30 giugno 2017.
10 episodi per raccontare la parabola (che si suppone discendente) della vita della bella e misteriosa Jean Holloway, una psicoterapeuta attenta ed appassionata, moglie amorevole e madre premurosa che – tuttavia – cela il desiderio non esplicitato di vivere una vita diversa da quella ordinaria, esprimendo un lato di sé libero dai vincoli dei ruoli sociali che riveste.
Gypsy: la doppia vita di Naomi Watts
Una smania, quella di Jean, che si manifesta in punta di piedi, spingendola a fantasticare su un’identità differente, in cui è solo la libera ed emancipata Diane, scrittrice single curiosa di cogliere le sfumature nascoste delle persone. Le stesse che Jean cerca di captare attraverso una professione che finisce per invadere pericolosamente la sua vita privata quando l’incontro con la sensuale Sydney (Sophie Cookson) rivela la reale identità della ragazza: la misteriosa barista della Tana del Coniglio (il nome del locale che dà il titolo al pilot) era infatti la fidanzata di un suo paziente, un uomo in difficoltà nel superare la fine del rapporto con la ex.
L’attrazione ancora senza nome che Jean prova per Sydney innesca così un gioco perverso in cui la donna comincia ad utilizzare le sedute con i pazienti per immedesimarsi nelle loro vicende private, intessendo relazioni con le persone che fanno parte delle loro vite e che – guarda caso – appaiono molto differenti da come i loro cari le hanno descritte…
Gypsy: una trama semplice ma dal buon potenziale che – tuttavia – mostra evidenti lacune che le impediscono di decollare
Il pilot di Gypsy mostra ben presto il problema principale della serie: aver puntato tutto su un’attrice protagonista del calibro di Naomi Watts, il cui contributo, tuttavia, non è sostenuto da una scrittura adeguata.
Gypsy, infatti, cala maldestramente le sue carte, disseminando la sua prima ora di psicologismi piuttosto grezzi e affatto integrati nell’intreccio: si parte dalla preoccupazione della Jean madre per un’ipotetica diagnosi di deficit dell’attenzione che potrebbe ricadere sulla figlia, passando per la forzata introduzione della tematica Gender, per virare infine su fenomeni di negazione attiva nominati da chi difficilmente potrebbe averne consapevolezza, rappresentando la persone che li sta mettendo in atto.
Insomma, Sam Taylor-Johnson ci urla a gran voce che la serie parlerà di psicologia e di opportunità (o per meglio dire Chance, come didascalicamente suggerito dal nome del profumo condiviso da Jean e Sydney), senza tuttavia apparire decisa su come gettare le basi dell’intricato gioco di specchi promesso, ostentato anche nelle inquadrature.
Anche il mood erotico, sottolineato dalla presenza dietro la macchina da presa della regista di 50 sfumature di Grigio, sembra vivere solo nella fotografia calda ed elegante, senza ancora investire la protagonista, una donna che al momento appare poco vibrante, sospesa fra chi è e chi forse vorrebbe essere.
Il risultato è quindi un pilot che – invece di gettare ricchi spunti da svolgere – si ripiega su se stesso, recuperando la povertà di contenuti solo negli ultimi 15 minuti, in cui almeno viene suggerita la possibilità del verificarsi di eventi interessanti negli episodi successivi, dove forse vedremo Jean più coinvolta nell’insidioso intento di smascherare le identità altrui e la propria, rivelando così l’appartenenza della serie al genere del thriller, ancora evidente solo sulla carta.
Tutti gli episodi di Gypsy sono già interamente disponibili su Netflix; nel cast anche Billy Crudup, Lucy Boynton, Karl Glusman e Brooke Bloom.