Harry Palmer – Il caso Ipcress: recensione della miniserie su Sky

Harry Palmer - Il caso Ipcress, dal 7 settembre 2022 su Sky e in streaming su NOW, è spionaggio, lotta di classe e sentimenti. Con Joe Cole nel ruolo che fu di Michael Caine, Lucy Boynton e Tom Hollander.

La vita viaggia più veloce di una serie Tv. Harry Palmer – Il caso Ipcress, miniserie in sei parti dal 7 settembre 2022 su Sky e disponibile in streaming su NOW, è l’adattamento (piuttosto libero) del romanzo di Len Deighton del 1962 La pratica Ipcress. Regia di James Watkins, sceneggiatura di John Hodge. Nel cast Tom Hollander, Lucy Boynton e Joe Cole. Proprio a metà strada tra la realizzazione e la messa in onda dello show la Guerra Fredda ritorna e questa è una sorpresa; della storia era sfondo lontano e polveroso mentre adesso è qualcosa di più, una sorta di strana anticipazione. I buoni da una parte, i cattivi dall’altra, la sfida sotterranea, i russi, gli americani. Altro che nostalgia, ci siamo dentro fino al collo.

Harry Palmer - Il caso Ipcress cinematographe.it

Len Deighton scrive il suo romanzo nei primi anni ’60 in risposta al fallimento della collaborazione con i produttori di James Bond su uno dei primi (e più famosi) episodi della serie dal titolo Agente 007 – Dalla Russia con amore. La pratica Ipcress rappresenta il tentativo ponderato di riportare il genere spionistico a più miti consigli dopo gli eccessi poco realistici ma molto spettacolari del personaggio creato da Ian Fleming. Il libro di Deighton ispira un film di grande successo del 1965 che si chiama Ipcress, regia di Sidney J. Furie, il primo di una serie di quattro. L’Harry Palmer originale era Michael Caine. Harry Palmer – Il caso Ipcress ruba al testo e ruba al film, proponendosi di rinfrescarne il discorso attualizzando. Al resto, ci ha pensato il telegiornale.

Harry Palmer – Il caso Ipcress: una spia partita dal basso prova a sventare una minaccia globale

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Harry Palmer (Joe Cole) fa quello che può per sopravvivere. È un veterano della guerra di Corea ridotto a fare il mercato nero nella Berlino spezzettata dei primi anni ’60, questo fino al giorno in cui viene beccato e spedito in galera. È freddo, intelligente, piuttosto creativo e ha un certo successo con le donne. Tutte doti che la prigione finisce per non valorizzare a dovere. Non è tuttavia per un rigurgito di umanità che il Maggiore Dalby (Tom Hollander) si decide a tirarlo fuori dai guai e a farlo entrare nel WOOC(P), sezione del controspionaggio inglese talmente esclusiva che persino l’MI5 e l’MI6 la guardano con una certa invidia.

Dalby è per Palmer quello che M è per 007, il padre/padrone a un tempo autoritario, autorevole ma anche protettivo e amichevole. Qualcosa in più di questo in realtà, perché Harry Palmer – Il caso Ipcress ci permette di vedere il Maggiore all’opera, ci fa entrare dentro la sua mente finissima e ci racconta anche qualcosa della sua intimità. Il grande capo ha bisogno di Harry Palmer perché uno scienziato britannico, il Professor Dawson (Matthew Steer), è sparito nel nulla, probabilmente rapito dai russi. Un bel problema; l’uomo è in grado di progettare una bomba modernissima e altamente distruttiva che farebbe passare un brutto quarto d’ora al mondo libero se finisse nelle mani sbagliate. Apparentemente Palmer, con il suo istinto per la sopravvivenza e una bella faccia tosta, ha le carte in regola per dare una mano a ritrovare il professore.

Non lavora da solo ovviamente, Dalby cerca di tenerlo d’occhio affiancandolo a Jean Courtney (Lucy Boynton), impeccabile e carismatica, con un privato non proprio soddisfacente. La scintilla tra i due si accende subito e resta da vedere se porterà davvero a qualcosa. Jean, impegnata a tenere d’occhio l’ambiguo agente afroamericano (ce n’erano negli anni ’60?) della CIA Paul Maddox (Ashley Thomas), si ritaglia uno spazio inedito rispetto al film perché questo è quello che richiedono i tempi. Essere una donna nel mondo del controspionaggio non è molto diverso dall’essere una donna in qualunque altro posto, ma lei se la cava. Capisce, come Dalby, che Harry Palmer ha delle doti fuori dal comune. Intuisce che la crudezza working class dell’uomo può fare da contraltare positivo all’attitudine aristocratica e un po’ snob che imperversa nel settore. In effetti, il conflitto di classe e le differenze di background sono un tema importante in Harry Palmer – Il caso Ipcress. Indubbiamente Joe Cole è l’Harry Palmer di cui abbiamo bisogno. Alcuni hanno faticato a capirlo, ma il nocciolo della serie sta tutto qui.

Cos’hanno in comune Michael Caine e Joe Cole, cosa funziona bene e cosa un pochino meno nella miniserie

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Il discorso più interessante che si può fare a proposito di Ipcress ieri e oggi è inevitabilmente il confronto di sensibilità, stile e carisma tra l’interprete che rende iconico il personaggio, cioè Michael Caine. E l’incarnazione più recente, Joe Cole. Il secondo non è in contrapposizione con il primo e questo non soltanto perché non uscirebbe mai vivo da un simile confronto critico. Il punto è che tra i due interpreti, prima ancora che tra le due versioni del personaggio, c’è una continuità di background che ne giustifica il casting e rende credibile l’emozione di entrambe le versioni della storia. Il protagonista è un intruso di talento in un mondo elitario e classista che trova il modo di risolvere i guasti provocati dall’insipienza di aristocratici figli di papà. Per renderne al meglio la grazia ribelle occorreva un interprete istintivamente ai ferri corti con l’ambiente circostante. In altre parole, se Joe Cole vi sembra fuori posto avete ragione, ma è necessario che le cose stiano così.

Non recita mai semplicemente l’attore, ma la sua carriera. È chiaro come Joe Cole porti con sé nel ruolo parte di quel populismo positivo, feroce e di sicura presa che viene dalle parti di Peaky Blinders. Michael Caine inscenava lo stesso conflitto ma lo faceva con una maggiore attenzione alle sfumature e un carisma superiore perché era e continua a essere un attore decisamente migliore. Ma questo ha un’importanza relativa oggi.

Ogni buona storia ha bisogno di una miccia adeguata per scatenare il suo incendio e nel caso di Harry Palmer – Il caso Ipcress va cercata nel contrasto tra la verità operaia di Joe Cole e lo stile più ricercato dei partner. Lucy Boynton, che con Sing Street prima, Bohemian Rhapsody poi e adesso questo, conferma una grande affinità con il racconto in costume. Ha dalla sua un fascino che si sposa bene con il gusto del periodo. Tom Hollander lavora di fino sull’ambiguità del suo personaggio. Un M tridimensionale.

È d’altronde uno dei temi portanti della serie, riscoprire l’umano dietro la spia. Harry Palmer – Il caso Ipcress è il tentativo, sostanzialmente riuscito, di trovare un equilibrio stabile tra la crudezza e l’ambiguità morale dello spionaggio (quello vero), la deformazione spettacolare bondiana e il gusto glamour per la ricostruzione d’epoca. La miniserie nasce alla fine del lungo intervallo che separa la prima Guerra Fredda dalla seconda. Ragiona con una libertà e una consapevolezza figlie di una consistente distanza storica. Non si fa ingannare dalla geometria rassicurante del periodo: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra, la cortina nel mezzo. Anche i buoni devono guardarsi le spalle. Rivaluta e aggiusta il personaggio di Lucy Boynton modernizzandolo, appesantisce anche un po’ le cose con una parentesi sentimentale che non convince del tutto perché cucinata in maniera troppo frettolosa.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.8