Haunted: America Latina, recensione della docuserie horror Netflix
Dopo due stagioni a stelle e strisce, la docuserie antologica Haunted approda in America Latina per raccontare nuove storie dell’orrore ambientate tra il Messico e la Colombia. Disponibile su Netflix dal 31 marzo.
Un gruppo di persone raccolte intorno a un falò acceso di notte a scambiarsi storie terrificanti è uno degli escamotage narrativi più frequenti nei racconti dell’orrore. Nel cinema e nella serialità di genere è diventato un vero e proprio must, una situazione classica e al contempo evocativa alla quale gli autori di turno continuano a ricorrere ogni volta che se ne presenta l’occasione. C’è poi chi come Jan Pavlacky nelle due stagioni della docuserie dal titolo Haunted quella situazione l’ha fatta sua e riprodotta all’interno del salotto di una topografia non meglio identificata. Candele accese disseminate nella stanza squarciano l’oscurità, illuminando i volti dei protagonisti che di volta in volta si riuniscono con amici e parenti per condividere terribili storie che hanno riguardato il loro passato. Storie tutte rigorosamente vere come si legge all’inizio di ogni episodio di uomini e donne che hanno vissuto sulla propria pelle fenomeni inesplicabili ed eventi soprannaturali straordinari, capaci di lasciare cicatrici e ferite ancora aperte nel corpo e nella mente. La sostanza quindi non cambia, con un modus operandi che secondo le regole non scritte di ogni franchise che si rispetti viene preso in prestito e replicato fedelmente al fine di dare un seguito all’operazione di turno. Ed è quello che ha fatto Adrián García Bogliano per la prima stagione di Haunted: America Latina, rilasciata il 31 marzo su Netflix.
Haunted: America Latina ricalca fedelmente il modus operandi della precedente versione a stelle e strisce
Il cineasta ispano-messicano, già autore di apprezzate pellicole horror di stampo indipendente (tra cui 36 pasos, No moriré sola e Ahí va el diablo), raccoglie il testimone della serie antologica nata dalla penna dei produttori esecutivi di The Purge e Lore, spostando l’azione dagli Stati Uniti all’America Latina, per la precisione in Messico e Colombia. Queste Nazioni fanno da cornice alle cinque vicende narrate in prima persona in altrettanti episodi dalla durata variabile. Si passa, infatti, dai 50 minuti di quello inaugurale ai 26 circa dell’ultimo, creando di fatto una disomogeneità cronometrica tra i tasselli che vanno a comporre questa prima season. Disomogeneità che come abbiamo avuto modo di constatare nel corso della visione andrà di pari passo con la discontinuità in termini di resa tra un capitolo e l’altro. Nonostante la mano sia la stessa, come spesso accade nelle serialità antologiche o nei film ad episodi, difficilmente i singoli tasselli del “puzzle audiovisivo” mantengono lo stesso livello e funzionano in egual misura. Il tallone d’Achille di Haunted: America Latina, alla pari della precedente versione a stelle e strisce, sta proprio nella differenza qualitativa tra un episodio e l’altro, sia da un punto di visto della scrittura che della messa in quadro, con la CGI che in più di un’occasione appare troppo posticcia (vedi il cane/demone del capitolo conclusivo).
Cinque capitolo auto-conclusivi che si rifanno a filoni classici della famiglia allargata del cinema horror
La serie è strutturata in capitoli auto-conclusivi di stampo documentaristico che rievocano fatti che, nella maggioranza dei casi, sono ancora inediti e che a distanza di anni tornano a tormentare il presente dei diretti interessati. Si passa così dalla casa stregata che cerca di sottomettere gli inquilini alla bambola maledetta ossessionata dalla sua padrona, dall’entità demoniaca che che perseguita una coppia di fidanzati al fantasma di una donna suicida che si tramuta nell’angelo custode di un poliziotto, fino alla creatura mostruosa che dà la caccia a un ragazzo disubbidiente. Possessioni, esoterismo, folklore, rituali, maledizioni, esorcismi, esperienze extra-corporee, incubi e fantasmi sono gli ingredienti di una ricetta decisamente classica, che chiamano in causa filoni e dinamiche altrettanto classiche inscrivibili nella famiglia allargata del cinema horror. Motivo per cui gli abituali frequentatori del genere in questione e dei suoi derivati si troveranno a fare i conti con una successione di déjà-vu che non ha nulla di nuovo da offrire allo spettatore.
Retelling basico, ricostruzioni di fiction altalenanti e jump scare che non sortisce gli effetti desiderati sono i limiti di Haunted: America Latina
Lo scoglio diventa di fatto insormontabile per Haunted: America Latina che si presenta come un prodotto derivativo e dozzinale, privo di quelle pennellate personali che lo avrebbero in qualche modo diversificato rispetto ai migliaia di prodotti in circolazione nel mercato della serialità. E invece risulta anonimo nel suo pigro allinearsi ai filoni preesistenti, a cominciare dalla ghost-story. Questo per dire che si tratta di storie dell’orrore che potrebbero essere collocate geograficamente ovunque, perché nei cinque episodi, salvo rarissimi casi (la leggenda della donna di El Molino del terzo episodio e i rituali della nonna co-protagonista del quinto), di folklore locale ce n’è poco e niente. Il ché toglie interesse nei confronti di un’operazione che non ha altri motivi per esistere se non quelli commerciali. Bogliano si limita al retelling dei fatti, alternando al racconto orale delle ricostruzioni di fiction spesso didascaliche e non sempre all’altezza della situazione. Fatta eccezione per il pregevole lavoro di sound design, al quale la serie deve molto per quanto concerne la costruzione della tensione, il resto è affidato alla componente shocker e al jump scare che solo di rado sortiscono gli effetti desiderati.