Homecoming: recensione della serie tv con Julia Roberts
Una serie che non soddisfa pienamente, atta a stimolare tante domande che non ci danno però una risposta esaustiva, atta più a caratterizzare i personaggi che a confezionare una buona narrazione.
Homecoming è una serie televisiva statunitense diretta da Sam Esmail, interpretata da Julia Roberts, Bobby Cannavale, Stephan James, Shea Whigham, Alex Karpovsky e Sissy Spacek. Homecoming, thriller basato sul podcast omonimo di Eli Horowitz e Micah Bloomberg, ha debuttato il 2 novembre su Amazon Prime Video.
Julia Roberts è Heidi Bergman, psicologa presso il centro di supporto Homecoming, il cui scopo è aiutare i veterani di ritorno dalla guerra a riadattarsi alla vita civile e a superare i propri disturbi post trauma. Heidi, durante le sedute, si avvicina a Walter Cruz, giovane soldato che ha perso alcuni amici mentre prestava servizio all’estero, una persona affabile e fiduciosa nel programma di recupero. Heidi segue le direttive del suo capo, Colin Belfast (Bobby Cannavale), motore immobile di Homecoming e manipolatore esterno che non fa altro che abbaiarle ordini per telefono per assicurarsi che il progetto vada verso la direzione auspicata. Ma qualcosa non torna nel proseguimento della cura e delle sedute di psicoterapia, tant’è che Heidi comincerà a notare più di qualche stranezza nella struttura, che le farà dubitare del suo stesso ruolo in quel luogo e dello scopo finale del progetto.
Homecoming: tante domande ma risposte poco esaustive nella serie Amazon con Julia Roberts
Sam Esmail, ideatore di Mr. Robot, dirige un thriller diviso in due timeline, due specchi temporali paralleli che ci traghettano in un vortice narrativo al limite della cospirazione governativa. La serie alterna il presente con il 2022, quando Heidi è ormai una cameriera in un ristorante vicino il porto, apparentemente restia a rammentare la sua esperienza lavorativa in Homecoming ad un investigatore del Dipartimento della Difesa, Thomas Carrasco (Shea Whigham), che sta indagando su una denuncia pervenuta al centro di recupero.
La nuova serie Amazon segue le vicende oscure di un misterioso centro che si pubblicizza come una risorsa per aiutare i veterani a ricongiungersi con la vita civile. Heidi Bergman sembra avere un genuino interesse nell’aiutare i suoi pazienti ma, differentemente dal suo boss che ha ben altri piani in mente, sa che per raggiungere il presunto scopo del progetto deve poter ascoltare e conoscere quei ragazzi. Sarà proprio il suo avvicinamento ad uno dei suoi pazienti che le farà dubitare di quell’ambiente, intuendo le oscure apparenze di un centro di recupero per militari.
La maggior parte dell’azione del racconto si svolge all’interno del centro di Homecoming, mentre i flash forward ci traghettano parallelamente all’interno di un mistero che si svolge in una linea temporale futura in cui il programma sembra essere scomparso del tutto. Dal punto di vista strutturale Homecoming segue la direzione dell’audio drama, essendo basato questo thriller sul podcast omonimo.
Homecoming: 10 episodi, nessuna autentica tensione
Ciò che non convince particolarmente è la presenza di troppe conversazioni telefoniche, che rallentano la narrazione e ne indeboliscono ogni tensione. La serie non coglie alcun aspetto scioccante che possa attrarre per dieci puntante lo spettatore. Le lunghe discussioni tra Heidi e il Boss e i dialoghi continui che lei intrattiene con Walter, non sono tradotti con fluidità dal punto di vista visivo. Questo particolare blocca in un certo senso le dinamiche della narrazione poiché è ben visibile quali forzature e quali sospensioni arrivano a comporre una serie che nasce da un audio. La serie, per quanto sia composta da puntate di mezz’ora, si trascina troppe volte, fatica ad arrivare ad un punto di svolta, non stuzzica particolarmente l’attenzione e l’intrigo è inizialmente molto vacuo. Solo verso la fine della storia, quando ormai è tardi, tenta di elevarsi e di enfatizzare la tensione del racconto; purtroppo la serie è bloccata sugli indugi, su un dubbio che non trova la sua dimensione ostile.
La serie spesso sceglie di differenziare le due linee temporali alternando due tipi di inquadrature: una parte della storia, che accade all’interno di Homecoming, è presentata in widescreen, parallelamente quando la storia è trasferita nel 2022, le proporzioni e il formato vengono ridotti come se l’inquadratura provenisse da una fotocamera di un Iphone. Le due linee temporali sono anche girate in stili diversi, tant’è che una parte è più assoggettata ai drammi contemporanei, la prima parte invece ricorda i thriller degli anni ’70 e ’80, pur non avendo quella struttura solida del brivido e dell’orrore tipici del genere.
Homecoming genera tante domande e le risposte arrivano senza particolare sorpresa e lasciando non poco disappunto. Ciò che lo spettatore si chiede sin da subito è chi sia realmente il fatidico Boss che chiama ogni giorno Heidi e come mai il loro rapporto è strettamente telefonico e non solo: ciò che scatena la curiosità è l’indagine che sta portando avanti il Dipartimento della Difesa, ed anche lo scopo reale che si cela dietro Homecoming. In fin dei conti la fine la serie si preoccupa molto poco del mistero e molto più della caratterizzazione dei personaggi, delle dinamiche che si instaurano tra loro, una scelta che porta le puntate a non raggiungere realmente un climax; la risoluzione di ogni dilemma, quando finalmente arriva, risulta essere molto meno complicata di quanto appare e meno sorprendente di quanto ci si aspetta.