House of Cards – Stagione 6: recensione della stagione finale
La serie che va in onda su Sky Atlantic si chiude con un finale potente e shakespeariano, ma che fa sentire l'assenza di Kevin Spacey.
La fine dell’ottavo episodio della sesta stagione di House of Cards segna la chiusura di un telefilm epocale, che, nonostante in quest’ultimissima fase sia stato caratterizzato dalla perdita più grande, ovvero quella del suo protagonista principale Kevin Spacey, ha retto molto bene, cadendo però proprio sul finale. Ma andiamo con ordine.
L’ultima stagione di House of Cards regge bene l’assenza di Kevin Spacey grazie a Robin Wright, ma cade proprio sul finale
Il primo episodio di questa ultima stagione metteva sin da subito tutte le carte in tavola: Frank Underwood è morto, e la consorte Claire è il Presidente degli Stati Uniti che deve confrontarsi con l’ingombrante assenza del marito. Doug Stamper è il personaggio che soffre più di tutti l’assenza di Frank, e considera Claire la responsabile della sua morte. Ma oltre a Doug la Presidente ha due nemici molto pericolosi dai quali guardarsi, e che per ottenere i loro obiettivi sono disposti anche ad eliminarla fisicamente: stiamo parlando dei fratelli Bill e Annette Shepherd, ex finanziatori di Frank Underwood.
House of Cards – stagione 6: la recensione della premiere
Claire dovrà dimostrare di essere all’altezza del ruolo di Presidente degli Stati Uniti, ma allo stesso tempo dovrà schivare i colpi (anche letteralmente) scagliati dai suoi nemici che non la vogliono alla Casa Bianca. Ognuno dei protagonisti cercherà quindi di tessere la propria trama, costruendo il castello di carte che dovrà smontare il proprio avversario, distruggendolo politicamente, o, se necessario, anche fisicamente.
La corsa verso la Casa Bianca è diventata più spietata che mai, ed ancora una volta House of Cards è capace d’insegnare che, quando si parla di contesa del potere, gli uomini sono in grado di tirare fuori la propria bestialità, e tutti i propri istinti più gretti. Insomma: homo hominis lupus.
La lotta tra Claire, gli Shepherd e Doug si risolverà solo nell’ultimo episodio, che si reggerà sull’arrivo di un’imminente apocalisse nella quale Claire ha intenzione di gettare tutto il mondo pur di non affondare. Il confronto finale tra la protagonista ed il fedele “servo” del marito si risolverà con un colpo di scena finale, con la risoluzione del mistero riguardo la morte di Frank, e con una drammatica ultima sequenza degna di un’opera shakespeariana, ma che (per la prima volta durante tutta la sesta stagione) dà veramente l’impressione di soffrire dell’assenza del suo protagonista.
Robin Wright ha retto su sé stessa il peso di tutta la stagione, toccando l’apice delle sue performance recitative
Quella di Kevin Spacey è stata infatti un’assenza ingombrante, compensata da una Robin Wright al massimo delle sue potenzialità, e da un Michael Kelly che con il personaggio di Doug Stamper ha fatto da contraltare al carisma abbagliante di Claire Underwood. L’assenza di Kevin Spacey, e in conseguenza di Frank Underwood, per la sesta e ultima stagione di House of Cards è stata però abilmente colmata da un’ottima trama di base che ha reso la mancanza del protagonista il filone narrativo sul quale sono ruotati i pensieri, le azioni e le parole di tutti i personaggi della serie. Un giocattolo che si è retto benissimo anche senza Kevin Spacey, proprio perché l’assenza di Frank Underwood, e le sue azioni passate, sono state il tema centrale ed il peso che ha dovuto reggere ogni singolo personaggio.
Ogni attore ha tirato fuori il meglio di sé stesso: la Annette Shepherd interpretata da Diane Lane ha dimostrato di essere l’antagonista ideale di Claire Underwood, una donna senza scrupoli, ma con fragilità che, se messe in evidenza, sarebbero capaci di farla vacillare. Greg Kinnear ha invece impersonato Bill Shepherd: un lobbysta capace di tessere le trame che stanno dietro l’elezione del Presidente, ma che allo stesso tempo deve fare i conti con il crollo del proprio fisico. Anche un personaggio secondario come il Seth Grayson interpretato da Derek Cecil ha saputo rendersi funzionale e dare peso alla propria presenza sul set. Ogni personaggio ha dovuto fare i conti con sé stesso, con i propri errori, e le proprie debolezze messe a nudo. E non a caso il creatore e produttore di House of Cards Beau Willimon (sceneggiatore anche del film con Margot Robbie Maria Regina di Scozia) è un drammaturgo non indifferente al fascino del teatro.
House of Cards: ecco il trailer della sesta stagione
Ogni episodio dell’ultima stagione è stato infatti diretto con una certa misura, senza manierismi, ma mettendo al centro (come e più di prima) il potenziale espressivo e attoriale di ogni personaggio, con primi piani capaci di esaltare performance intense.
La fine di House of Cards segna uno spartiacque nella storia della serialità televisiva. Il telefilm con protagonisti Kevin Spacey e Robin Wright è stato il primo grande successo di una serie Netflix. La piattaforma streaming quando la serie ha esordito contava poche decine di milioni di abbonati. Arrivati alla sua chiusura ne conta quasi duecento milioni. Ed House of Cards è stato lo spartiacque, la rivoluzione della serialità televisiva che ha segnato il passaggio verso una nuova era.
House of Cards è un telefilm epocale, che ha segnato l’inizio dell’era del binge watching, e rivoluzionato la serialità televisiva
Questa serie tv ha fatto iniziare l’epoca del binge watching, ed ha segnato un cambio di passo della narrazione seriale. House of Cards è stata forse la prima serie televisiva a dare l’idea di aver trasportato il cinema in tv. Già dalla sua prima stagione la qualità attoriale (non per niente era stato scelto un peso da novanta come Kevin Spacey), narrativa, e registica messa in gioco ha elevato così tanto il livello del telefilm da non dare l’impressione di essere un insieme di puntate a sé legate da un twist, bensì un unico grande film della durata complessiva di tredici ore, divise in tredici tempi.
Insomma, il giudizio sull’ultima stagione di House of Cards non può precludere un’analisi generale di tutta la serie, e del peso storico che ha rivestito. Nonostante proprio il finale dell’ultimo episodio faccia vedere il re nudo, facendo notare come l’assenza di Kevin Spacey non permetta di chiudere perfettamente il cerchio, il peso che ha avuto questa serie televisiva a livello mondiale continuerà ad echeggiare nel tempo, come i migliori drammi shakespeariani. Perché le serie tv vanno e vengono, ma l’arte, quella vera, resta per sempre.