Hurts Like Hell: Il mondo del muay thai – recensione della docuserie Netflix
Il lato oscuro e marcio del muay thai nella docuserie scritta e diretta da Kittichai Wanprasert, che racconta dell’incredibile e pericoloso mondo delle scommesse illegali negli incontri di boxe thailandesi. Su Netflix dal 13 luglio 2022.
Il muay thai, noto anche come thai boxe, boxe o pugilato tailandese, è un’arte marziale e sport da combattimento a contatto pieno che è stato più volte protagonista di film per il grande e piccolo schermo. I protagonisti ne hanno fatto la propria “arma” di offesa e difesa per sconfiggere il nemico di turno dentro e fuori da un ring come nel caso dei due capitoli di The Protector, della trilogia di Ong Bak, A Prayer Before Dawn, Broken Sword Hero, Beautiful Boxer, Chok Dee, Born to Fight e Kickboxer. Pellicole, queste, dal forte impatto visivo, capaci di offrire alla platea dosi massicce di adrenalina e di azione dall’elevata qualità coreografica, con lo scopo principale di regalare show marziali e intrattenimento a buon mercato agli amanti del genere. Questo per dire che la Settima Arte ha sempre avuto la tendenza a mostrarne la componente spettacolare, quando invece il muay thai ha anche un suo lato b, oscuro e marcio, del quale se n’è sempre parlato poco e mal volentieri. Ecco perché un’opera come Hurts Like Hell: Il mondo del muay thai va vista e analizzata come molta attenzione, non tanto per la confezione, che come vedremo è di tutto rispetto, piuttosto per l’approccio controcorrente alla materia in questione e i contenuti inediti dei quali si fa portatore.
In Hurts Like Hell il regista Kittichai Wanprasert scava oltre la superficie per andare a esplorare e riportare alla luce gli effetti collaterali, le brutture e il controcampo malato del muay thai
In questa docuserie composta da quattro episodi da cinquanta minuti cadauno, rilasciata su Netflix il 13 luglio 2022, Kittichai Wanprasert scava oltre la superficie per andare a esplorare e riportare alla luce gli effetti collaterali, le brutture e il controcampo malato di uno sport e di un’arte marziale che in Thailandia rappresenta una vera e propria istituzione. Motivo per cui tali segreti e pratiche illecite, che ne deturpano la sacralità, vengono messe a tacere. Ecco perché una miniserie come questa non dovrebbe passare sotto silenzio, con la distribuzione capillare da parte della piattaforma a stelle e strisce che potrebbe rappresentare un’occasione preziosa per portare all’attenzione di un pubblico più vasto gli aspetti meno nobili della disciplina in oggetto. Per farlo il regista tailandese ha puntato su uno sguardo dall’interno, restituito attraverso una docu-fiction sulla lunga distanza nella quale il linguaggio del documentario dialoga in maniera fitta e partecipa attivamente alle ricostruzioni di finzione. Una commistione che permette alle interviste agli addetti ai lavori (promoter, scommettitori chiamati guru del muay thai, allenatori, agenti, ex pugili, cronisti, arbitri e giovani lottatori) di integrarsi e interagire con le sequenze romanzate che rievocano più o meno fedelmente gli eventi.
Come base di partenza l’autore ha scelto dei fatti realmente accaduti
Come base di partenza l’autore ha scelto dei fatti realmente accaduti, spogliati per motivi di privacy e sicurezza dei diretti interessati dai dati identificativi e dai riferimenti ai veri protagonisti delle vicende narrate. Con e attraverso di questi Hurts Like Hell tratta senza i guanti e rievoca più storie che si intrecciano fatalmente nel corso dei quattro episodi a disposizione. Le storie sono quelle di uno scommettitore che calpesta i piedi sbagliati e ne pagherà le conseguenze, di un arbitro che si lascia corrompere per poi cercare la strada della redenzione e di un giovane lottatore che durante un match poi vinto provocherà la morte del suo coetaneo avversario. Vicende che diventano di riflesso degli atti di denuncia nei confronti di piaghe difficili da estirpare del mondo del muay thai: la corruzione, il gioco d’azzardo, l’utilizzo di droghe per indebolire il contendente e la scelta di mandare sul ring lottatori sotto i dieci anni. Quest’ultimi provengono il più delle volte da famiglia povere, con il muay thai che diventa l’unica scialuppa di salvataggio per assicurare a sé e alla sua famiglia un futuro. Ecco che vengono sottoposti ad allenamenti estenuanti e mandati a lottare sul ring con le stesse regole degli adulti. Il ché provoca e ha provocato, come nella storia raccontata nel terzo e quarto capitolo, il decesso di un atleta di soli dieci anni.
Hurts Like Hell è una testimonianza forte e decisa, ben documentata e resa in maniera seriale grazie a una scrittura stratificata che utilizza i cambi di prospettiva
Con Hurts Like Hell si punta il dito contro tutto questo e lo si fa senza esitazioni, con il piglio e il modus operandi del cinema d’inchiesta. Ne viene fuori una testimonianza forte e decisa, ben documentata e resa in maniera seriale grazie a una scrittura stratificata che utilizza i cambi di prospettiva, mostrandoci così la catena di causa ed effetto, oltre agli eventi, da diverse angolazioni. Il ché consente al fruitore di leggere gli eventi da punti di vista differenti e maturare delle proprie riflessioni in maniera indipendente.