I Am a Killer – Stagione 3: recensione della docu-serie Netflix
La macchina da presa degli autori della docu-serie antologica targata Netflix è tornata nel braccio della morte dei penitenziari statunitensi per raccontare le storie di sei carnefici che hanno confessato i propri delitti. Dal 30 agosto 2022 sulla piattaforma a stelle e strisce la terza stagione di I Am a Killer.
Con il rilascio dei nuovi episodi lo scorso 30 agosto 2022, la docu-serie Netflix dal titolo I Am a Killer è giunta alla sua terza stagione, alla quale se ne va ad aggiungere una quarta se si conta anche quella spin-off I Am a Killer – Dopo il carcere incentrata sulla storia di Dale Wayne Sigler, “miracolosamente” scampato alla condanna a morte per omicidio e ora in libertà vigilata. A pochissimi è andata allo stesso modo e di questa percentuale davvero irrisoria non faranno mai parte i protagonisti dei sei episodi che vanno a comporre la new season dello show true-crime targato grande N.
Nei nuovi episodi di I Am a Killer 3 gli autori affrontano i controversi casi di Victoria Smith, Deryl Madison, Daniel Paulsrud, James Walker, Chucky Phillips e David Cameron Keith
Nei nuovi capitoli, che scendono di quattro unità rispetto alle dieci cadauna delle stagioni precedenti, i registi incaricati di dirigerli (Stuart Powell, Ingo Nyakairu, Laura Thomson, Ross Young e Ollie Elliott) raccontano altrettanti casi di condannati all’ergastolo o alla pena capitale rinchiusi nel braccio della morte o nei carceri di massima sicurezza degli Stati Uniti. Nazione, questa, che statistiche alla mano registra dal Duemila oltre 300.000 omicidi, con una media di 8.000 all’anno, del quale solo meno del 50% dei delitti viene confessato da coloro che li hanno commessi. Tra coloro che si sono presi la responsabilità figurano Victoria Smith, Deryl Madison, Daniel Paulsrud, James Walker, Chucky Phillips e David Cameron Keith. Si tratta di casi controversi, che nonostante si siano chiusi da un punto di vista giudiziario con sentenze definitive hanno ancora qualcosa d’irrisolto.
Ed è quel non detto o ancora da dire che ha spinto gli autori a entrare con la propria macchina da presa tra le mura dei penitenziari a stelle e strisce, come aveva fatto un decennio fa Werner Herzog con i suoi Into the Abyss e On Death Row, per incontrarli faccia a faccia e raccogliere confessioni che sanno di pentimento. Il risultato sono dei mea culpa ai quali i registi lasciano allo spettatore di turno la libertà di credere oppure no. Loro si sono limitati a raccogliere in maniera oggettiva, senza pregiudizi o prese di posizione, le testimonianze che i carnefici hanno voluto concedere a distanza di anni dai fatti. Ne vengono fuori dettagli e dinamiche agghiaccianti, sui quali i film spingono a riflettere durante e dopo la visione.
La terza stagione di I Am a Killer si compone di sei documentari, autonomi e differenti per contenuti, ma confezionati secondo un modus operandi che si rifà a un format ben preciso
L’imparzialità e l’oggettività, che denotano ancora una volta un approccio di tipo giornalistico nei confronti della materia prima affrontata, sono il motore portante che guida le scelte dei registi e il progredire delle singole timeline. Le storie umane e giudiziarie dei protagonisti, macchiatesi di delitti atroci, diventano il tessuto narrativo dei sei documentari, autonomi e differenti per contenuti, ma confezionati secondo un modus operandi che si rifà a un format ben preciso. Il format prevede anche la raccolta di altri punti di vista, che si vanno a sommare a quelli dei diretti interessati al fine di raccontare gli episodi da più prospettive, dando la possibilità al fruitore di sentire le diverse campane e avere così un piano più esaustivo a disposizione per maturare un proprio pensiero a riguardo. Viene di riflesso a materializzarsi sullo schermo le basi di un contraddittorio, quello che consente a un evento di essere sottoposto al fuoco incrociato di un discorso a più voci, dove le parti in causa si trovano a battagliare dialetticamente per provare a stabilire e dimostrare da quale parte della barricata si trovi la verità.
I Am a Killer 3 prevede parti cronachistiche ad altre più empaticamente coinvolgenti
Ecco allora che I Am a Killer allarga lo scontro a quattro punti di vista: protagonista, le persone che a vario titolo sono vicine al carnefice o alle vittime, più persone informate dei fatti. E sono queste che spostano nella stragrande maggioranza dei casi l’ago della bilancia, con analisi lucide e non di parte che arricchiscono e alimentano il dibattito. Sembra di assistere così a un nuovo processo a distanza, che prevede parti cronachistiche ad altre più empaticamente coinvolgenti. Davanti alle parole dei protagonisti si rimane sgomenti, increduli e di certo non impassibili, con i documentari che le hanno messe insieme che diventano nuove opportunità per provare a spiegare e capire cosa si nasconde dietro delle condotte criminali.