I diari di Andy Warhol: recensione della docu-serie su Netflix
Netflix propone una docu-serie in sei episodi tratta dai diari in cui la segretaria di Andy Warhol annotava tutto ciò che lui le raccontava, tra sbandamenti privati e successi pubblici.
Nel 1976 Andy Warhol chiese a Pat Hackett, sua assistente, segretaria ed amica, di trascrivere, dietro dettatura o condivisione telefonica, quanto gli accadeva quotidianamente in modo che non ne fosse dispersa la memoria: la donna continuò a farlo fino al 1987, anno in cui il grande artista si spense a seguito di un intervento alla cistifellea.
Di questa attività di trascrizione restano oggi 1200 pagine curate e pubblicate dalla stessa Hackett nel 1989 con il titolo I diari di Andy Warhol: il regista, autore e produttore Andrew Rossi ne ha tratto una docu-serie in sei episodi, disponibile su Netflix dal 9 marzo 2022, nella quale Warhol, figlio di immigrati lemchi, ucraini dei Carpazi polacchi, nato e cresciuto nella Pittsburgh povera, grazie alle sue stesse parole e a quelle di chi lo conosceva bene, si rivela nei suoi aspetti più intimi, dalle fragilità solo apparentemente compensate agli amori (e umori) turbolenti, senza dimenticare gli strascichi psicologici che su di lui ha avuto il tentativo di omicidio subito nel giugno del 1968 da Valerie Solanas, una scrittrice e attivista femminista che aveva sviluppato una vera e propria ossessione nei suoi confronti.
I diari di Andy Warhol: l’inadeguatezza infantile e l’omosessualità vissuta come conflitto
Il bambino, poi adolescente, Andrew Warhola soffriva per la marginalità sociale della sua famiglia, per il senso di insicurezza che da quella marginalità scaturiva, per l’inadeguatezza caratteriale, per lo specchio che gli restituiva un aspetto elfico e spiritato nel quale faticava a riconoscersi: era stato il piccolo a spalle abbassate in un angolo che guardava i compagni giocare e spasimava per prendere parte ai loro giochi senza, però, trovare il coraggio per farlo.
Le fragilità dei suoi anni di ragazzino, senz’altro derivanti anche da un conflitto tra la sua omosessualità e la fede cattolica che mai avrebbe abbandonato, lo accompagnarono per tutta la vita, coperte, quasi mistificate, dallo stile di vita adrenalinico con il quale tentò, poi, forse, di compensarle: a New York, negli anni Sessanta, Andrew Warhola divenne Andy Warhol e poté in effetti riscrivere la sua storia, trasformandosi da outsider in centro insieme egotico e propulsivo non solo della sua Factory, l’ex fabbrica di Manhattan nella quale artisti e – notte e giorno – lo stesso Warhol si ritrovavano per creare e far festa, ma anche del microcosmo queer che vi gravitava attorno.
Le angosce dell’ultimo Andy Wahrol, tra dolori privati e paura dell’AIDS
Andrew Rossi dedica ben tre episodi su sei agli uomini ‘importanti’ della vita di Warhol: gli amanti Jed Johnson and Jon Gould, l’amico e collaboratore Jean-Michel Basquiat. L’attenzione riservata alla sua vita sentimentale ed amicale, benché coerente con l’intento – mostrare l’artista per ciò che era nel suo privato e per come, nei suoi diari, raccontava sé stesso –, finisce tuttavia per rendere l’opera eccessivamente biografistica, quasi ‘nozionistica’ e compilativa nel modo di disporre gli eventi fondamentali dell’esistenza privata del genio della Pop Art: questi non vengono, infatti, collocati all’interno di uno spazio dinamico, in dialogo con la sua produzione artistica e i moventi che l’hanno determinata e animata, bensì presentati in successione, al di fuori di una prospettiva critica o anche solo vagamente dialettica.
Forse solo l’ultimo episodio, che mette in relazione la fase finale della produzione warholiana con lo stato d’angosciosa paura nel quale il diffondersi dell’HIV aveva gettato l’artista, soprattutto a seguito del biennio 1985-1986 in cui aveva perso, a causa dell’AIDS, molto amici e il suo ex partner Jon Gould, ci offre qualche chiave in più per comprendere l’evoluzione della sua ricerca estetico-comunicativa e come le due dimensioni della sua vita – quella privata e quella pubblica – hanno finito per intrecciarsi.