I Leoni di Sicilia: recensione degli episodi finali della serie TV Disney+
Arrivano l’1 novembre 2023 gli ultimi quattro episodi della prima stagione di I Leoni di Sicilia, diretta da Paolo Genovese, tratta dall’omonimo romanzo di Stefania Auci che racconta l’ascesa della famiglia Florio nella Sicilia dell’Ottocento (fino all’Unità d’Italia del 1861). Genovese porta sul piccolo schermo una grande epopea umana, una fotografia di un mondo che sta cambiando, di una famiglia, figlia di una società maschilista e classista che vede il matrimonio come un contratto utile al proprio nobile e alla propria ricchezza. Al centro della serie ci sono i Florio che hanno costruito un impero e sono cartina di tornasole dell’essere donna e dell’essere uomo, dell’essere nobili e borghesi, del “faticare” e del vivere una vita agiata per nascita. Dopo i primi episodi che hanno inquadrato la storia dei Florio, la loro scalata lenta ma inesorabile, le grandi perdite (prima Paolo e poi Ignazio), l’eredità raccolta da Vincenzo che cresce accogliendo la natura vorace e ambiziosa di suo padre e il suo rapporto con la bella Giulia, le ultime quattro puntate portano al centro questi due personaggi, il loro amore, la costruzione della famiglia, raccontano ancor meglio il periodo storico fondamentale per la nostra storia.
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Vincenzo, un rigido e irrigidito Leone che ambisce al buon nome
Vincenzo Florio (interpretato da un meraviglioso Michele Riondino) è un uomo che ha imparato bene la lezione del padre ma anche quella della madre. Dell’uno ha inglobato la dedizione al mestiere, la voglia di non retrocedere mai e l’allergia per i nobili che lo umiliano per le sue origini, dell’altra ha capito che ciò che deve essere messo al primo posto è il bene della famiglia, per lui un mantra che lo tormenta. Da sua madre, monito implicito, ha compreso però che non vuole pentirsi per tutta la vita di qualcosa, come ha fatto lei, quindi quando incontra Giulia Portalupi, bella, intelligente, colta, sa che non può perderla. Vincenzo ha una certezza, incrollabile, fortissima, vuole quella donna, e la vuole anche se non ha un titolo, anche se non gli può dare ciò di cui lui è mancante.
Come in un gioco di corsi e ricorsi, la madre di Vincenzo, Giuseppina (Donatella Finocchiaro dà forza, intensità ad una donna caparbia e piena di rimpianti ma con un grande amore, la sua famiglia) che non ha mai potuto amare chi voleva, vivere come voleva, non è solidale con quella ragazza di cui il figlio è innamorato, anzi, fa ostruzionismo. Fa di tutto per impedire a Vincenzo di unirsi a Giulia che viene da lei chiamata con gli epiteti più volgari e avvilenti, anche nel momento in cui Vincenzo decide di stare con la giovane, di vivere con lei in casa e di sposarla – appena il colera lascerà in pace Palermo e dintorni -, di costruire una famiglia, dando alla luce tre figli, Angela, Giuseppina, come la nonna, e Ignazio come lo zio. Quando è da sola con Giulia le instilla il dubbio: Vincenzo in realtà non la vuole sposare e il colera è solo una scusa, l’ha usata e ora sa perfettamente che non “ci fa più niente”.
Vincenzo ormai è un uomo adulto, è marito e padre, in questi ultimi episodi è una statua di granito fatta di pregiudizi, preconcetti e insegnamenti derivati da una vita che l’ha cambiato. All’inizio della relazione con Giulia aveva sulla testa una pesante spada di Damocle, una famiglia ideale a cui aspirare che loro non incarnavano, quando la donna era incinta, il suo unico desiderio era che fosse “masculo”. La sua faccia dolente nel vedere tra le braccia della moglie una creatura di sesso femminile, spiega quanto essere donna nella Sicilia dell’800 fosse una penitenza anche e forse soprattutto per la famiglia. Il loro è un impero e l’impero non esiste se non c’è un erede e lo dice e lo ripete fino a quando non arriva il figlio maschio, Ignazio (un bravissimo Eduardo Scarpetta che dà corpo ad un giovane uomo che vorrebbe essere felice ma è ancora e troppo succube di un padre a cui interessa poco il suo volere). Vincenzo è concentrato sul lavoro, pensa sempre all’utile, al (vil) danaro che per lui è motore dell’esistenza, tanto quanto il buon nome della famiglia che sono una cosa sola, sono sintesi per cui il padre è partito dalla Calabria per andare in Sicilia. Per questo, lo sguardo disgustato degli altri, le battute sarcastiche sul loro sangue, il continuo puntare il dito sulle differenze (nobili da una parte, borghesi dall’altra) lo fanno uscire di senno e per questo a suo figlio insegna, proprio come suo padre aveva fatto con lui, a non abbassare mai la testa e a puntare in alto.
Lui è davvero un Leone che divora qualsiasi cosa, che mira ad essere il re della foresta e quindi nulla lo può fermare, lui come la marea va inarrestabile, senza interessarsi di ciò che travolge.
I Leoni di Sicilia: un racconto di donne coraggiose e tenaci
I Leoni di Sicilia è anche una storia di donne, potentissima e vibrante. C’è Giuseppina che da ragazza avrebbe voluto abortire perché stufa di fare ciò che volevano gli altri, come merce passata da padre a marito, senza rendersi conto, almeno fino ad un certo punto, neanche un giorno di essere viva, di essere una persona, ma l’idea di non mettere al mondo quella creatura l’aveva distrutta e quindi torna ancora a casa con il bambino nella pancia. Ha avuto un marito spesso violento, brusco e brutale a cui poco interessava di lei, aveva molto amato Ignazio ma quando, morto Paolo, avrebbero potuto vivere la loro storia, Ignazio non si sentiva di fare questo sgarbo al fratello, un uomo che aveva scelto tutto per lui, che l’aveva guidato e istruito sullo stare al mondo. Ora, donna matura, vuole proteggere suo figlio Vincenzo con le unghie e con i denti, morde quella donna, Giulia, per molti versi così simile a lei, la chiama “cagna”, “puttana”, ostacola la loro felicità e si comporta proprio come in passato gli altri avevano fatto con lei. Giuseppina è belva feroce, sbrana le carni di Giulia senza pensare ai suoi sentimenti, la fa sentire un rifiuto, un elemento ectopico.
Giuseppina: “Tu sei un’ospite. Fino a quando mio figlio non ti sposa, tu non sei nulla”
Giuseppina usa le parole come una lama ma poi impara dalla sua storia e, a poco a poco, quel “cuore di pietra”, di scioglie e da nonna dei suoi nipoti non accetta l’idea che Vincenzo si comporti con i propri figli come lei si è comportata con lui. Giuseppina ora può e sa dirlo, l’importante è essere felici.
Giulia: “Che vuoi che ne sappia io, sono solo una donna”
C’è poi Giulia (Miriam Leone, luminosa e bellissima, incarna perfettamente la caparbietà, la saggezza e la tenerezza di questo femmina potentissima e dolce), donna coraggiosa che silenziosamente ha aspettato i tempi giusti. Ha provato a stare lontano da quell’uomo che l’ha fatta soffrire, che per un momento l’ha abbandonata, che le ha impedito di partire quando avrebbe potuto, che non ha amato le loro figlie perché femmine. Stare accanto a Vincenzo è stato difficile, lei ha sempre saputo calmarlo, farlo ragionare, non ha avuto paura di urlargli in faccia la verità.
Vincenzo: “Non posso abbandonare i miei affari”
Giulia: “Ma abbandoni me però. Non voglio restare qui senza di te”
Giulia non sopporta il nuovo Vincenzo (“Non t’accontenti mai”, “Per un momento sei stato gentile, persino tu sei stato felice, ma poi sono tornati i tuoi demoni e hai incominciato ad accumulare una cosa dietro l’altra”), non accetta che non abbia ideali, che il suo unico principio siano “i piccioli”, non vuole che i suoi figli siano infelici, desidera che amino e scelgano chi sposare. A lei del buon nome interessa poco, per lei l’importante è il bene di Angela, Giuseppina e Ignazio (“Io non intendo umiliare le mie figlie, non voglio mariti che le disprezzino e le trattino come merce di scambio”). Per suo figlio Vincenzo e per le sue figlie, Angela e Giuseppina, è presente, una madre amorevole, accogliente, usa la sua saggezza per sciogliere i loro nodi e le loro sofferenze. Angela fin da subito dimostra insofferenza nei confronti di un padre assente, si pone domande e le pone agli altri, desidera andare a cavallo (“non posso mai fare quello che fa mio fratello, ma perché?”) come Ignazio, vorrebbe unirsi in matrimonio con un uomo semplice – anche in questo caso c’è uno specchio, il padre, ormai solo e tanto triste e lei non vuole avere grandi sogni per poi diventare così – e quando Vincenzo glielo impedisce, lei piange e lo odia con tutta se stessa perché in fondo non si è mai sentita amata.
Angela: “Non ce la faccio più, ce ne dobbiamo andare via da qui”
Giuseppina: “Mai amate, mai considerate, mai riconosciute. Tu non sai cosa significa essere il figlio sbagliato”
Le figlie di Vincenzo non tollerano quell’uomo così rigido e irrigidito che le tratta come se non fossero niente, come se fossero figlie di serie B. I Leoni di Sicilia non fa sconti ad una società arcaica che usa il matrimonio come un contratto, un bieco do ut des, e le donne sono solo merce che passa da uomo a uomo, Genovese ama questa donne e le rende piccole/grandi guerriere di un periodo storico che non le aiuta e dunque ogni passo di queste figure femminili è ancora più importante e coraggioso.
Ignazio, un uomo diverso ma che deve essere ciò che gli è stato insegnato
Ignazio è buono, fin da piccolo si evince che a lui del lavoro dei Florio poco importa, o meglio non quanto dovrebbe. Vincenzo crea quel figlio a sua immagine e somiglianza e lui si sente costretto, in gabbia. Sa che deve essere così ma è un calco che non è fatto su di lui o per lui.
Il dolore delle sorelle lo distrugge e per questo fa un patto/richiesta al padre, ingrigito, ingobbito, irrigidito nell’animo oltre che nel corpo: loro sposino chi vogliono, sarà lui a preoccuparsi del buon nome della famiglia. Ignazio ha la maledizione dei Florio, non essere felici, seguire indefessamente il buon nome, strade create da altri e poi perdere tutto il resto. Ignazio, come suo zio, farà quello che gli dice un altro, mette da parte i propri sentimenti per il bene comune ma il suo volto, triste e disperato, lascia trasparire le rinunce fatte.
I Leoni di Sicilia: valutazione e conclusione
I Leoni di Sicilia è una serie che coinvolge e conquista grazie ad una storia che non parla solo di un periodo storico di profondi mutamenti e capovolgimenti (moti, rivoluzioni, Garibaldi, colera) ma fa in modo che lo spettatore rifletta, si ponga domande che riguardano l’essere umano in quanto tale. Grazie all’epopea di una famiglia, I Leoni narra l’amore e l’odio, la voglia di rivalsa e i sentimenti più profondi e puri, mostra uomini maschilisti e brutali – quanto arriviamo ad odiare Vincenzo quando relega Giulia in una casa per poter vivere con lei di nascosto dopo aver dormito con lei, disonorandola. Quanto mal sopportiamo l’atteggiamento di Vincenzo che è padre a metà e anche per quella metà lo è parzialmente -, mostra donne che devono dibattersi per le strette maglie di una società che non le vuole libere, indipendenti, che ha bisogno di loro solo per procreare e creare nuovi rapporti (anche commerciali ed economici) grazie ai matrimonio.
I Leoni di Sicilia è un racconto che mostra il riscatto sociale, il peso del giudizio, i valori propri di quel tempo, tra onorabilità e umiltà femminili che davano rispettabilità ad un intera famiglia, e tutto attraversa questi personaggi, pieni di sfumature e intensità, piene di fragilità e garbugli, è un mare di cose che passano e tornano proprio come la marea. Incredibilmente le storie di queste donne e di questi uomini, alla guisa dell’eterno ritorno, si ripropongono nelle vite degli altri, riecheggiano nei volti, nei sorrisi, nei gesti e nelle parole. C’è una sorta di ereditarietà che fa credere allo spettatore di conoscere il bellissimo mondo dei Florio.