I tre giorni dopo la fine: recensione della serie TV Netflix
La minuziosa ricostruzione dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi che sconvolse il Giappone e il mondo intero nella serie giapponese sviluppata e prodotta da Jun Masumoto. Dal 1° giugno 2023 su Netflix.
L’11 marzo 2011 è una data che il Giappone e con esso il mondo intero non potranno mai dimenticare. Quel giorno e quelli immediatamente successivi allo tsunami che con onde alte ben 14 metri e quattro esplosioni distrussero la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, a Naraha, sono impressi in maniera indelebile nella memoria collettiva. Questo, insieme al disastro di Cernobyl, sono gli incidenti nucleari peggiori della storia dell’umanità, classificati come livello 7 della scala INES. Motivo per cui il loro ricordo resterà una ferita profonda destinata a non cicatrizzarsi mai. Quanto accaduto all’epoca nell’impianto nipponico rivive ora in una serie di fiction in otto episodi (da 50 minuti circa cadauno) sviluppata e prodotta da Jun Masumoto per la regia di Masaki Nishiura e Hideo Nakata, dal titolo I tre giorni dopo la fine, rilasciata da Netflix l’1 giugno 2023.
Trattasi di una ricostruzione degli eventi che, seppur romanzata, si presenta molto dettagliata grazie alle fonti che gli autori hanno avuto a disposizione in fase di scrittura
Trattasi di una ricostruzione degli eventi che, seppur romanzata, si presenta molto dettagliata grazie alle fonti che gli autori hanno avuto a disposizione in fase di scrittura. Lo showrunner Masumoto ha potuto contare sul libro On the Brink: the Inside Story of Fukushima Dai-Ichi del 2012 di Ryusho Kadota e sui verbali contenenti le dichiarazioni del direttore della TOEPCO Masao Yoshida raccolte dalla commissione d’inchiesta durante il processo per accertare eventuali responsabilità e negligenze da parte della società che gestiva la centrale. Materiali, questi, incandescenti e dal peso specifico rilevante in termini di importanza, che hanno consentito agli autori della serie di essere più fedeli possibili agli eventi rispetto ad altri progetti audiovisivi precedentemente realizzati sull’argomento come il documentario Fukushima: A Nuclear Story o l’action-drama Fukushima di Setsurô Wakamatsu. I suddetti materiali si sono trasformati nel tessuto narrativo e drammaturgico di un racconto scomposto, in cui si vanno a intrecciare per l’intera durata tre punti di vista: quello del governo giapponese, dei lavoratori della centrale di Fukushima e dei dipendenti della Tokyo Electric Power Company. Tra questi c’è quello del già citato Masao Yoshida, qui interpretato da un intenso e sempre convincente Kôji Yakusho, che ha fatto parte del quel gruppo di persone che hanno rischiato la propria vita all’interno dell’impianto per evitare conseguenze ancora più gravi e catastrofiche. È lui uno dei personaggi chiave di I tre giorni dopo la fine, tra quelli sui quali l’opinione pubblica si è divisa. Intorno a tali figure si è creata infatti una grande discussione: secondo alcuni, infatti, sono co-responsabili del disastro. Per altri, invece, sono degli eroi che hanno tentato con tutte le forze di evitare ciò che è accaduto.
In I tre giorni dopo la fine non si calca mai la mano, con il livello di drammaticità che sale gradualmente con lo scorrere degli episodi
La serie e coloro che l’hanno concepita cercano di rimanere più neutrali possibili, limitandosi a raccogliere e restituire i fatti in maniera oggettiva così come sono stati ricostruiti dai documenti in loro possesso e di dominio pubblico, lasciando allo spettatore di turno il compito di farsi un’idea e decidere autonomamente da quale parte stare. Questo per quanto ci riguarda è un punto a favore dello show e un valore aggiunto da spendere in sede analitica, alla pari della gestione ottimale della componente emotiva che si sa essere uno dei talloni d’Achille del filone catastrofico o disaster, nel quale gli eventi vengono spesso alterati ed enfatizzati per esigenze spettacolari. In I tre giorni dopo la fine non si calca mai la mano, con il livello di drammaticità che sale gradualmente con lo scorrere degli episodi, così come la temperatura emotiva che arriva a toccare punte altissime nel settimo (l’addio ai propri cari del personale rimasto dopo l’evacuazione) e ottavo episodio.
Sul pianto tecnico i due registi danno forma e sostanza a una confezione solida e visivamente efficace, salvo qualche VFX che appare artigianale e non sempre all’altezza delle situazione, diversamente da prodotti analoghi come la serie HBO Chernobyl e quella targata Netflix, Chernobyl 1986, entrambi incentrati sull’incidente nucleare omonimo avvenuto nell’allora territorio sovietico, dove gli effetti speciali hanno dato un contributo qualitativo enorme alla causa. Per il resto, I tre giorni dopo la fine non ha altre crepe in grado di inficiare sulla riuscita di un’opera che ha dalla sua una grande attenzione rivolta ai dettagli, tanto nella ricostruzione minuziosa degli eventi quanto da quella rivolta a ogni singolo personaggio che incontriamo lungo la strada.
I tre giorni dopo la fine: conclusione e valutazione
Un crescendo di emozioni forti accompagna e scandisce le tappe narrative del racconto in otto episodi con il quale lo showrunner e produttore Jun Masumoto ricostruisce il disastro della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi. Un ricostruzione assai dettagliata, basata su testimonianze dirette e sul libro d’inchiesta di Ryusho Kadota. Confezione d’impatto dove regia, fotografia e suono contribuiscono in maniera significativa alla riuscita di un prodotto che presenta qualche crepa sul fronte degli effetti speciali, qualitativamente non sempre all’altezza della situazione. Per il resto, la scrittura solida e le performance attoriali efficaci, a cominciare da quella di un intenso Kôji Yakusho nei panni di uno dei sopravvissuti, rappresentano delle fondamenta sulle quali è stata eretta una serie meritevole di attenzioni.