Il metodo Kominsky: recensione della serie tv Netflix con Michael Douglas

Nata dalla mente di Chuck Lorre, Il metodo Kominsky è assolutamente una serie da non perdere. Vi spieghiamo perché nella nostra recensione.

Il metodo Kominsky è una serie dramedy del 2018 di 8 episodi, con protagonisti i premi Oscar Michael Douglas e Alan Arkin. La serie è l’ennesimo prodotto della fantasia e della creatività di Chuck Lorre, noto al grande pubblico per essere il creatore di show di successo come Dharma & Greg, Due uomini e mezzoThe Big Bang TheoryIl metodo Kominsky è disponibile dal 16 novembre su Netflix.

Il metodo Kominsky: la nuova dramedy Netflix di Chuck LorreIl metodo Kominsky

Sandy Kominsky (Michael Douglas) è un attempato attore di Los Angeles, che per compensare la propria non eccelsa carriera si è dedicato all’insegnamento, guadagnandosi una discreta fama come maestro di recitazione. L’esistenza di Sandy viene stravolta nel momento in cui subisce il fascino di Lisa (Nancy Travis), allieva di un suo corso di recitazione. Contemporaneamente, il suo agente e migliore amico Norman (Alan Arkin) perde la propria moglie a causa di una malattia incurabile, suscitando la naturale compassione di Sandy. Per il maestro di recitazione ha così inizio un difficile e a tratti spassoso ping pong emotivo fra la propria situazione sentimentale e il ritrovato rapporto con l’anziano amico, costellato da imprevisti e dai tipici problemi della terza età.

Il metodo Kominsky

Dopo averci raccontato con leggerezza e garbo la gioventù nerd di The Big Bang Theory e le famiglie disfunzionali di Due uomini e mezzoMike & Molly e MomChuck Lorre si concentra sulla terza età, in un riuscito mix fra commedia e dramma esaltato dalle ottime prove di due monumenti viventi della recitazione come Michael Douglas e Alan Arkin. La Los Angeles dipinta da La La Land come teatro di sogni, aspirazioni e amori infranti diventa quindi in questo caso un paese per vecchi, sconfitti dall’industria dell’intrattenimento e dalle difficoltà della vita, ma ancora desiderosi di lottare e di trovare uno sprazzo di vitalità e ironia anche nelle situazioni più difficili.

Il metodo Kominsky gode delle ottime prove di Michael Douglas e Alan Arkin

Il cuore de Il metodo Kominsky risiede senza dubbio nell’amicizia fra Sandy e Norman, basata, come spesso accade, su divergenze apparentemente insanabili e sulla loro continua altalena emotiva fra accesi litigi e virile affetto. Il Sandy di Michael Douglas è l’emblema di tanti promettenti attori hollywoodiani, avvicinatisi alla gloria ma fagocitati dallo stesso ambiente che idolatravano, e costretti di conseguenza a barcamenarsi fra i loro residui scampoli di celebrità e un lavoro come insegnanti, nel difficile tentativo di mantenere uno stile di vita al di sopra delle loro effettive possibilità. Il Norman di Alan Arkin è l’altra faccia della medaglia dello star system, cioè quella di chi, con senso pratico e una punta di cinismo, si è guadagnato una posizione di potere e di abbondanza economica investendo tempo e risorse sulle persone e sui progetti giusti.

La dipartita della moglie di Norman avvicina ulteriormente due persone dalle esistenze e dai punti di vista sul mondo e sull’arte diametralmente opposti, costringendoli a farsi forza reciprocamente nelle avversità a cui la vita li mette davanti. Grazie soprattutto a una scrittura capace sempre di trovare il giusto equilibrio fra allegria e mestizia e all’innato talento dei due protagonisti, encomiabili nella resa delle sfumature e delle debolezze dei rispetti personaggi, Il metodo Kominsky riesce a intrattenere con intelligenza e a conquistare il pubblico di tutte le fasce sociali e di tutte le età, nonostante la narrazione verta su persone particolarmente agiate alle prese con problemi tipici della terza età, come gli acciacchi fisici, la volontà di rimettersi in gioco affettivamente e l’inevitabile progressiva perdita del proprio vigore e della propria lucidità.

Il metodo Kominsky: una narrazione naturale e sorprendentemente intima

Senza ricorrere al black humour, Chuck Lorre e i suoi collaboratori centrano il non semplice obiettivo di fare sorridere sul lutto, sulla solitudine e sulla dipendenza, trovando inaspettati spunti ironici in funerali, visite alla prostata o nella scellerata esistenza della figlia di Norman Phoebe (ben interpretata da Lisa Edelstein, nota ai più come la Lisa Cuddy di Dr. House). Una narrazione naturale e sorprendente intima, che, grazie anche alla suddivisione in puntate da circa mezz’ora, ognuna con un suo tema centrale, scorre con disinvoltura fra le lezioni di Kominsky, la sua nascente storia d’amore con l’allieva Lisa e gli spassosi dialoghi con Norman, senza mai annoiare o scadere nella ridondanza.

Il metodo Kominsky non segue dunque una direzione precisa e unitaria, ma lo fa con un brio e con un amore per i propri protagonisti che non lasciano indifferenti. Merito della sceneggiatura di Chuck LorreAlan J. HigginsDavid Javerbaum, ma anche dell’equilibrio dello stesso Lorre e degli altri registi Andy TennantBeth McCarthy-MillerDonald Petrie nella gestione dei singoli episodi, sempre ben amalgamati per toni e contenuti  e resi dinamici da una fotografia particolarmente avvolgente e da un sonoro sempre funzionale al racconto.

Il metodo Kominsky: un ritratto della terza età profondo e piacevole

I pregi de Il metodo Kominsky riescono a celare o annullare alcune scelte narrative che possono certamente infastidire gli amanti di soggetti più complessi e stratificati. Ci si trova infatti a provare una sensazione di inappagamento nel momento in cui lo show tocca alcuni temi sensibili e drammatici, per poi allontanarsene bruscamente. È questo il caso del lutto che sconvolge Norman, affrontato con un paio di sequenze intense e commoventi, poi subito normalizzato, ma anche dei problemi di dipendenza dell’irrequieta Phoebe, parcheggiata in una  clinica di riabilitazione senza un adeguato approfondimento dei suoi problemi e della sua mentalità. L’attenzione riservata al memorabile duo di protagonisti porta a una carenza di caratterizzazione anche per due altri personaggi femminili, ovvero la figlia di Sandy, Mindy (Sarah Baker), che sembra vivere solo in funzione dell’infantile e inaffidabile padre, e la stessa Lisa, oscurata da Kominsky persino durante i loro litigi.

Il metodo Kominsky

Sulla scia di un altro show di successo Netflix come Grace and Frankie, Il metodo Kominsky riesce nell’intento di raccontare la terza età senza stereotipi e patetismo, lasciando che a condurre il racconto siano i propri protagonisti e la loro amicizia sincera e non convenzionale. Una serie che senza mai prendersi sul serio riesce a dare vita a un ritratto profondo e al tempo stesso piacevole dei dubbi e delle paure tipiche dell’ultima fase dell’esistenza umana, lasciandoci con il desiderio di vedere al più presto il seguito delle avventure di questi adorabili vecchietti.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.5

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