Il pianeta preistorico: recensione della docu-serie Apple TV+
Suddivisa in 5 episodi che coprono ogni possibile habitat, Il pianeta preistorico è un tuffo nel Cretaceo di 66 milioni di anni fa, analizzato con rigore scientifico e strabiliante fotorealismo animale.
Ancora dinosauri? Ebbene sì. La fascinazione per i rettili vissuti dal periodo triassico al Cretaceo trae le sue origini dai primi passi della storia del cinema, ovvero da Gertie il dinosauro (1914, cortometraggio disponibile per intero su Youtube) e da Il mondo perduto (1925, desunto dal romanzo di Arthur Conan Doyle). Così, mentre la saga di Jurassic Park ha ripreso a vele spiegate la sua corsa dal 2015, esiste naturalmente anche un intero campionario documentaristico meno incentrato sulla fantasia e più su dati e fonti attendibili.
Il pianeta preistorico – 5 episodi distribuiti da Apple TV+ in una finestra temporale che va dal 23 al 27 maggio 2022 – è la prima grande docu-serie incentrata sui vari “sauri” prodotta dalla BBC dai tempi di Planet Dinosaur nel 2011, e la terza in assoluto (la prima fu Nel mondo dei dinosauri, datata 1999). Perché tanto clamore, quindi? Perché questa nuova ricognizione sulla preistoria mette in campo un ingente dispiego di forze creative ed economiche, con la certezza di trovarci di fronte a un prodotto che farà da modello per il futuro.
Il pianeta preistorico: I dinosauri, come non li avete mai visti
Presentate dal naturalista David Attenborough (fratello minore del regista Richard e voce onnipresente in questo tipo di nobili progetti divulgativi), le cinque puntate di Il pianeta preistorico sono prodotte da Mike Gunton e Jon Favreau (asso pigliatutto dell’ultima generazione Disney, già dietro la macchina da presa per i recenti e avanguardistici Il libro della giungla, 2016, e Il Re Leone, 2019) e musicate dall’Hans Zimmer di Interstellar e Dune. Nomi importanti per un lavoro di primissima qualità, con una resa estetica da capogiro. Gli animali – grandi o piccoli, vecchi o giovani, in volo o sulla terraferma – creati dalla Moving Picture Company sembrano, senza girarci troppo attorno, reali.
Guardiamo lo schermo e vediamo, nel loro habitat naturale, dei “veri” dinosauri. Bestie che corrono, camminano, cacciano (in branco ma anche da sole, nel caso del minuscolo ma tenace Dromaeosauride che punta un enorme Hadrosauro invece di accontentarsi dei soliti insetti) e cinguettano (come il cucciolo di Olorotitano appena uscito dall’uovo e tenuto al caldo della sabbia vulcanica). L‘esperienza è inebriante e, optional di non poco conto, attendibile: la presenza del sopraccitato Attenborough e della stessa crew britannica di Planet Earth assicurano un determinante grado di veridicità, modificando anche finalmente anche alcune imprecise convinzioni radicate nell’immaginario collettivo (perché sì, alcuni di questi enormi rettili avevano le piume).
Dalla terra al mare, un’esperienza immersiva all’insegna dell’iperrealismo
Al netto di un’estetica vertiginosamente fotorealistica che rende lo spettacolo meraviglioso, va comunque detto che i cinque frammenti che compongono il mosaico (Coste, Deserti, Acque dolci, Mondi di ghiaccio, Foreste, a coprire in pratica tutta la superficie terrestre di 66 milioni di anni fa) non sono narrativamente parlando immuni da alcuni dei problemi che affliggono questo tipo di documentari. Se da un lato la serie promette “Le ultime scoperte in materia di paleontologia”, dall’altra asseconda piuttosto rapidamente i cliché drammatici del genere. Nel mondo di Il pianeta preistorico ogni scena è un’epopea drammatica, sottolineata dalle composizioni emotive e da blockbuster hollywoodiano di Zimmer.
Nulla che sminuisca il valore complessivo dell’operazione, capace di colpire trasversalmente un target che potremmo definire universale. Non c’è violenza, se non quella che incontreremmo comunque in un qualsiasi documentario naturalistico con intento didattico; e ogni piccolo dettaglio è fonte di arricchimento e insegnamento. Prehistoric Planet ci ricorda che gli ecosistemi terrestri e marini erano e sono tutt’oggi interconnessi, mentre osserviamo pterodattili e simili librarsi sugli oceani prima di rifugiarsi sugli alberi; e che se il T. Rex può essere il principale predatore sulla terraferma, quando fa una nuotata con i suoi piccoli è suscettibile al Mosasaurus proprio come lo saremmo stati noi, trasformandosi da predatore a preda. Più realistico di così…