Il Processo: recensione dei primi due episodi della serie TV
Nuove prospettive si aprono con Il Processo, la serie TV italiana in cui è chiaro l'intento di contare solo sulle proprie forze, senza barare o emulare.
Il Processo è una serie tv co-prodotta da RTI per Mediaset e Lucky Red, di cui segna anche il debutto nel mondo della serialità, che nasce come il primo legal/thriller antologico pensato e creato per televisione italiana. Un progetto ambizioso sia nelle intenzioni che nella realizzazione e con tanti nomi importanti “sia dietro che davanti” lo schermo.
La serie è creata da Alessandro Fabbri (1992, 1993, 1994, In Treatment), una delle firme giovani più autorevoli tra gli sceneggiatori italiani, in collaborazione con Enrico Audenino e Laura Colella, e diretta da Stefano Lodovichi, interessantissimo giovane regista già collaudato in questo genere cinematografico (è sua la regia della serie tv Il Cacciatore).
Per quanto riguarda il cast c’è la guida di Vittoria Puccini (Baciami Ancora, Anna Karenina, L’Oriana, The Place) e Francesco Scianna (Baarìa, Vallanzasca – Gli angeli del male, La mafia uccide solo d’estate) nei ruoli dei protagonisti, mentre, accanto a loro, recitano Camilla Filippi, Margherita Caviezel, Simone Colombari, Maurizio Lastrico, Tommaso Ragno, Giordano De Plano ed Euridice Haxen. Da segnalare, infine, la partecipazione del veterano Roberto Herlitzka (Buongiorno, Notte e Il rosso e il blu).
Il Processo andrà in onda su Canale 5 dal 29 novembre per un totale di 8 episodi distribuiti in 4 prime serate.
Il Processo: cosa accade nei primi 2 episodi?
A Mantova, sul grembo del fiume, viene rinvenuto il cadavere della giovanissima Angelica (Caviezel), i cui segni sul corpo indicano senza ombra di dubbio l’omicidio efferato come causa della morte.
Il caso viene affidato ad Elena Guerra (Puccini), un pubblico ministero di grande successo, famosa per il suo intuito e la sua brillantezza nel condurre gli interrogatori, ma anche una donna riservata, dura e con dei problemi a concedersi nella sua vita privata, le cui maggiori conseguenze ricadono sul marito Giovanni (Lastrico). È infatti con l’intenzione di salvare il suo traballante matrimonio che Elena decide rinunciare al caso per prendersi un’aspettativa di un anno, se non fosse per una oscura connessione da tempo sepolta tra lei e la vittima.
Elena si tiene l’indagine, Giovanni parte e, come se non bastasse, i sospetti ricadono sulla ricca ereditiera della famiglia Monaco, una delle più ricche ed influenti di Mantova, Linda, lasciando presagire una crescita preponderante dell’eco mediatico intorno al processo che sta per cominciare. Entra così in scena entra Ruggero Barone (Scianna), un avvocato penalista dalle indubbie capacità, incaricato di difendere la donna dalle accuse della determinatissima pm.
Il duello tra Elena e Ruggero inizia, senza riserve né esclusione di colpi, al centro c’è Linda, ma soprattutto i misteri intorno alla morte di Angelica.
Il Processo: la scommessa della televisione italiana
Il Processo vuole essere l’inizio di un qualcosa di nuovo nel panorama italiano; qualcosa che possa essere all’altezza delle serie crime internazionali che tanto amiamo e di cui desideriamo costantemente nutrirci, ma senza parodiare né scimmiottare.
Per riuscirci punta sulla qualità sia di scrittura sia di regia e su due nomi come quelli di Alessandro Fabbri e Stefano Lodovici i quali, ognuno per i suoi motivi, sono in grado potenzialmente di garantire il giusto mix di freschezza giovanile, voglia di mettersi in gioco e capacità pratica, data da dei curriculum già notevoli. Quello che però rischia di essere la chiave di volta del successo della serie è la consapevolezza.
Per Fabbri si tratta della consapevolezza di cosa sia il genere con cui si sta lavorando, di come funzioni il processo italiano in termini di svolgimento: il suo modus operandi, i suoi tempi, i ruoli al suo interno, il margine di manovra con cui si può operare per lavorarci sullo schermo e l’importanza che esso ricopre a livello mediatico nel nostro Paese, tristemente titolare di un numero sempre crescente di casi efferati capaci di riempire le pagine di cronaca nera negli ultimi anni.
Per Lodovici invece si tratta di un tipo di consapevolezza diversa: quella di avere a che fare con una storia in primis scritta bene e quindi meritevole di essere resa altrettanto bene sullo schermo, oltre ad avere la possibilità di riuscire a fare veramente qualcosa di diverso.
Il Processo si apre con una definizione di giustizia che la indica come un meccanismo fatto di persone e dalle persone, spogliandola del suo significato filosofico e rendendola maniera liquida, fluida e malleabile, così da permettere ad Elena e Ruggero di poterla costruire in aula di tribunale. Una chiave semplice, ma efficace e che può aprire a molti scenari.
Siamo di fronte ad un prodotto italiano nella recitazione, nella messa in scena e nella scrittura, che vuole puntare in alto facendo leva sulle sue forze, senza barare o emulare. Ed intrattiene molto bene, il che non guasta mai.
Le premesse sono buone, staremo a vedere!