Il Serpente dell’Essex: recensione della serie Apple TV+
Claire Danes e Tom Hiddleston sono i protagonisti de Il Serpente dell'Essex, la nuova serie tv su Apple Tv+ tratta dal romanzo di Sarah Perry.
Adattamento dell’omonimo romanzo best-seller di Sarah Perry, giornalista e scrittrice inglese classe ‘79, Il serpente dell’Essex arriva con i suoi primi due episodi su sei il 13 maggio 2022, promettendo già di mostrare alcuni aspetti inediti dell’epoca Vittoriana.
Al centro del racconto vi è la Cora Seaborne interpretata con verve da Claire Danes, una naturalista appassionata di fossili e scienze naturali, rimasta vedova nella Londra di fine Ottocento. Libera da un matrimonio poco appagante e da un marito violento, la donna decide finalmente cambiare vita e di trasferirsi a Colchester, località di pescatori nell’Essex, per approfondire la notizia su alcune voci diffuse nel paese che collegherebbero la scomparsa di una giovane ragazza del luogo con una misteriosa bestia marina avvistata da poco: un serpente mostruoso emerso dalle paludi salmastre del fiume Blackwater e risalito fino alla lunga brughiera che circonda il villaggio.
È lì che Cora, accompagnata dal taciturno figlio undicenne Francis e dalla fidata bambinaia dalle idee socialiste Martha (Hayley Squires), conosce il vicario locale William Ransome (Tom Hiddleston), un uomo profondamente credente sposato con la docile Stella (Clémence Poésy), il quale tenterà di contenere l’ansia dilagante fra i suoi parrocchiani, convinti di essere minacciati da un demone nelle vesti di un animale giunto lì a punirli per i peccati commessi.
Ragione e sentimento
Il dibattito intellettuale fra i due, guidati da visioni sulla realtà contrapposte, predispone dunque l’intero impianto narrativo della serie, costruita simbolicamente e concretamente sul confronto fra la razionalità del darwinismo e della medicina chirurgica, e l’inspiegabilità della superstizione, sia essa mitologica o religione vera e propria.
William e Cora racchiudono infatti i presupposti dialogici, arcaici quanto moderni, del conflitto eterno sul quale ruota l’intera società occidentale: spiegare il mondo attraverso la logica dimostrativa dell’evoluzione e, al tempo stesso, affidarsi all’imponderabile di qualcosa di magico, assurdo, miracoloso; di aspetti che sfuggono al nostro raziocinio e all’empirismo illuminato per chiedersi dunque se sia possibile intendere il mondo come non univocità.
Costume drama che dialoga fra superstizione ed empirismo, Il serpente dell’Essex è tematicamente stimolante e produttivamente impeccabile. Ma (per ora) manca la scintilla
Una conversazione estremamente affascinante soprattutto in epoca odierna di complotti e di negazionismo in cui la scienza e il progresso vengono continuamente minati e messi in discussione da bizzarre teorie. Risonanza che rende Il serpente dell’Essex una proposta cerebralmente stimolante, seppur nei primi episodi visionati manca forse quella scintilla di stupore che per ora la confina nel solito ottimo prodotto Apple, ma ammantato da una certa freddezza che non ci immerge del tutto nelle potenzialità dell’esposizione.
Accattivante nella ricostruzione dettagliata dei celebri fumi di Londra emersi dal ferro e dal cemento delle costruzioni, antitetici alle nebbie vaporose che salgono dalla campagna dell’Inghilterra orientale, l’accurata regia affidata interamente a Clio Barnard (Ali & Ava) si muove con sicurezza sul tavolo operatorio di un cuore aperto quanto nei prati incolti minati dal vento delle abitazioni rurali, restituendoci l’avanzare di un sintomo premonitore di qualcosa di sconvolgente e demoniaco che speriamo di vivere nel suo avanzare. Un amore proibito forse, potente quanto l’odio o il vizio e insinuante come un serpente.