In nome del cielo: recensione della miniserie con Andrew Garfield
Su Disney+ dal 31 agosto 2022, la serie con Andrew Garfield non convince del tutto.
La prima stagione di In nome del cielo, miniserie a sfondo religioso con Andrew Garfield e Sam Worthington, è disponibile dal 31 agosto 2022 su Disney+. Ma non vi aspettate da questo poliziesco un coinvolgimento stratosferico e mirabolanti sequenze action, perché di “elevata”, esagerata e folle, lo show prodotto da Aggregate Films, FXP e Imagine Television e creato da Dustin Lance Black (Milk), ha solamente la fede! Si ispira infatti al romanzo bestseller di genere true crime Under the Banner of Heaven: A Story of Violent Faith di Jon Krakauer, pubblicato per la prima volta nel 2003, attraverso cui l’autore giustappone due storie: l’origine e l’evoluzione della “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni” e un duplice omicidio commesso “nel nome di Dio” da due fratelli che hanno sottoscritto una versione fondamentalista del mormonismo, Ron e Dan Lafferty (per la cronaca i “Blood Brothers”). Per raccontare l’estremismo religioso e le sue conseguenze, In nome del cielo porta sul piccolo schermo (in sette episodi) la storia vera del brutale assassinio avvenuto nello Utah, nel 1984, in un sobborgo di Salt Lake Valley.
In nome del cielo: una discesa all’inferno dell’estremismo religioso
Negli ultimi anni abbiamo visto Andrew Garfield nei panni di Spider-Man, e lo abbiamo apprezzato anche per la sua interpretazione di Jonathan Larson in Tick, Tick… Boom!, ma qui, la star di punta di In nome del cielo, dà vita alla figura profondamente religiosa del detective mormone Jeb Pyre – ruolo pensato ad hoc per la serie -, anche padre di famiglia, di due bambine. Sappiamo che con quest’ultima performance che non ci ha convinti del tutto (meglio confessarvelo subito) ha ottenuto la candidatura come miglior attore in una miniserie al Premio Emmy. Il pilot si apre con il ritrovamento del cadavere della ventiquattrenne Brenda Wright Lafferty (Daisy Edgar-Jones) e della figlioletta di quindici mesi, e con l’arresto di suo marito Allen (interpretato egregiamente da Billy Howle) rinvenuto sulla scena del delitto con addosso del sangue. La comunità di questa cittadina è fortemente legata alla Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni – una cultura religiosa molto rigida e severa-, ma viene stravolta da questo terribile fatto di cronaca. Il regista David Mackenzie scatena la fitta rete di flashback che seguono diversi livelli temporali: quelli del poliziotto Pyre nascono da sensazioni, immagini, odori e rumori presenti sulla scena del crimine mentre i ricordi di Allen prendono avvio dal primo interrogatorio. Siamo nel primo flashback del principale indiziato: Brenda incontra per la prima volta la famiglia Lafferty. Poi seguono quelli sui conflitti tra il capo della famiglia Lafferty e la sua prole che fanno da contrappunto al presente di Jeb Pyre in cui è lo stesso detective che descrive e racconta la vicenda. Intanto con una terza linea temporale si prova a ricostruire la storia del fondatore del Mormonismo e primo Presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, Joseph Smith, nonché la sua ribellione alle leggi americane. Il poliziotto Jeb Pyre compie le indagini insieme al collega Bill Taba (Gil Birmingham), un non mormone di origine Paiute. Pyre e Taba capiscono che hanno tra le mani un caso che va al di là della violenza domestica. Soprattutto Jeb Pyre viene stravolto dall’indagine; Pyre inizia a mettere in discussione la sua fede e a cambiare la propria prospettiva sulla vita e sul mondo.
Andrew Garfield non convince del tutto nei panni di un detective mormone
Mescola elementi del dramma, del crime e del noir, e segue il romanzo. La serie tv è quasi interamente costruita attorno ai flashback: alterna i ricordi della grande famiglia Lafferty al racconto sulle origini della religione mormone. Prende avvio con un misterioso assassinio ambientato in una comunità mormone apparentemente tranquilla ma si trasforma in qualcosa di più inquietante. Come detto, il romanzo di Krakauer collega due storie separate da oltre un secolo, mentre l’adattamento per la televisione ne aggiunge una terza: quella dell’immaginario poliziotto mormone Jeb Pyre che indaga sul duplice omicidio. Mackenzie, che ha diretto le prime due puntate, trascina chi guarda con la camera a mano e non mancano i profeti invasori dell’antico testamento nelle puntate che seguono! ma il punto di forza sta nell’aver inserito la figura di Jeb, del detective mormone a capo delle indagini. Attraverso il personaggio interpretato da Garfield si prova a far immedesimare chi guarda nella situazione drammatica venutasi a creare, per portarci ad abbracciare gli stessi dubbi del protagonista. Cosa dire di Andrew Garfield? Sembra trovarsi a suo agio nei ruoli di padre di famiglia e di credente in un Dio mormone, appare invece meno convincente nella parte del detective: nelle pochissime sequenze action si muove in modo affettato e non dà certo l’aria di uno avvezzo a risolvere casi. Quello che più conta in effetti per Dustin Lance Black è la storia che si vuole narrare, lo spazio per definire i personaggi, l’atmosfera cupa generata da una fede inflessibile, l’indagine che, più che a risposte, porta a domande sconcertanti. L’eccessiva concentrazione sui personaggi e i flashback finiscono però per rallentare il ritmo della serie tv di cui si apprezza il cast di alto livello, ma non le continue interruzioni della linearità che ci appaiono spesso poco utili allo sviluppo del plot e contribuiscono a mandarlo troppo in lungo, così da stancare. Se da un lato In nome del cielo ha il coraggio di affrontare un tema controverso come il fanatismo religioso nel cuore dell’America, dall’altro non è un prodotto per tutti; più di uno potrebbe abbandonarlo dopo appena dieci minuti di pilot.