Inventing Anna: recensione della miniserie creata da Shonda Rhimes
Shonda Rhimes non perde neanche un colpo! Inventing Anna vi intratterrà magnificamente.
Shonda Rhimes torna su Netflix con Inventing Anna.
Quando l’energia di una visione trae origine dal vuoto quale fonte continua di immaginazione; quando è così chiara e potente da trascinarsi dietro e flettere al suo servizio tutto un universo intorno; quando ogni tentativo di realizzarla deve fare i conti con uno scarto prescritto dal destino: fra ciò che sei e ciò che vuoi essere, allora potresti anche chiamarti Anna Sorokin, avere un innato fiuto per gli affari e saper usare le parole con un’eccelsa fatalità, ma prima o poi dovrai misurarti con la realtà, provare a far prendere il largo al tuo sogno, e, a quel punto, prenderti in carico l’eventuale rischio di fallimento. Il sogno di cui parliamo è quello della protagonista di Inventing Anna, la miniserie composta da nove episodi che vi terrà incollati fino alla fine; creata e prodotta dall’inarrestabile Shonda Rhimes e ispirata ai racconti di Jessica Pressler, in particolare al suo articolo How Anna Delvey Tricked New York’s Party People. Inventing Anna è disponibile sul catalogo di Netflix dall’11 febbraio 2022.
Questa volta l’autrice di Grey’s Anatomy e produttrice esecutiva di Bridgerton vuole tutti i riflettori puntanti sulla vera storia di Anna Sorokin (con il volto dell’attrice Julia Garner): la giovane “artista della truffa” russo-tedesca che, tra il 2013 e il 2017, dietro la falsa identità di Anna Delvey, ha finto di essere una ricca ereditiera per frodare banche, hotel di lusso e l’élite di tutta New York.
Inventing Anna: come essere registi della propria vita
Non vogliamo distenderci troppo sull’intreccio di Inventing Anna, o svelarvi su quali fatti fondamentali è ricaduta la selezione di Shonda Rhimes per non privarvi del gusto di scoprirli da soli, perciò vi diciamo solamente che sullo sfondo della storia è dipinto anche lo sfavillante mondo della moda; che dentro il plot c’è un conto salato di oltre 200mila dollari, e che sono coinvolti anche Anna Maria Chlumsky e Arian Moayed, rispettivamente nel ruolo della giornalista del Manhattan Magazine che ha bisogno di risollevare la propria carriera Vivian Kent (spalleggiata da spassosi colleghi); e dell’avvocato penalista Todd Spodek (Arian Moayed) che prova a salvare il suo matrimonio e a far decollare la sua professione. Anna, la protagonista, sembra aver vissuto la vita di persone diverse. Quante Anna è riuscita ad impersonare? E quale di queste è disposta a sacrificare per il proprio sogno?
Vivere probabilmente richiede continui sforzi di fantasia: è doversi inventare continuamente. La partitura invisibile del testo che Rhimes prova a farci arrivare ha a che fare con le regole del montaggio: se nella realtà filmica è la vera forza creativa, anche nella nostra vita (fatta ormai di una continua comunicazione per immagini, di quella messa in scena del sé descritta molto bene da Goffman) le tecniche di composizione e le finzioni non vanno in vacanza, perché fingere di essere è ormai all’ordine del giorno, ed è difficile considerarlo peccato; è una cosa che non riguarda solo l’arte. Basta un sogno per spingersi dove si vuole arrivare, dove ci si sente bene: al centro, davvero al centro, perché forse solo quando sei al centro tutte le cose desiderate possono davvero trovarti.
Inventing Anna: nello script Shonda Rhimes non si perde neanche per un attimo; “taglia” provocatoriamente, e senza soluzione di continuità, con la forbice smisurata del suo talento
Il tema centrale della crisi di identità in una società liquida dominata dai privilegi dell’élite e dai social media, che sembra prescrivere un unico antidoto: la r-i-s-c-h-i-o-s-a ricerca dell’autenticità; il lavoro di composizione nella fotografia che insiste a focalizzare l’attenzione sulla Anna socialite; il montaggio che predilige l’effetto di costruzione (attraverso, ad esempio, inquadrature sovrapposte). Tutte scelte valorizzate da una sceneggiatura in perfetto stile Shonda Rhimes che in quest’opera conferma il suo genio. L’autrice non si perde neanche per un attimo: brillante, profonda, tranchant; taglia provocatoriamente, e senza soluzione di continuità, con la forbice smisurata del suo talento, perché Inventing Anna mostra il suo valore in modo eclatante. “C’era una scultura di un albero vicino a un albero vero?”, afferma sorpresa, dietro al finestrino di un’auto, Vivian. Per parafrasare Carducci, tante volte ci annoiamo in una cavernosa vuotezza, e dobbiamo accontentarci di fatti e di persone false, assurde e incomprensibili. Ma accorgersi di quell’incredibile albero vero, beh, cambia tutto.