Irma Vep – La vita imita l’arte: recensione finale della serie TV Sky
Le riprese di Irma Vep, remake del serial di culto I vampiri, continuano, tra caos creativo, clamorose crisi personali e tocchi sovrannaturali.
L’avevamo già detto analizzando i primi episodi di Irma Vep – La vita imita l’arte: la miniserie ideata da Olivier Assayas (presente nel catalogo Sky Atlantic, e conclusasi il 24 agosto) è quanto di più “meta” si possa trovare in circolazione. Riprendiamo il filo del discorso: la storia è quella di un’attrice solitamente dedita ai blockbuster, Mira Harberg, che si sposta a Parigi per iniziare le riprese di un serial d’essai, Irma Vep, remake di un classico della cinematografia francese, Les Vampires.
Les Vampires (1915) di Louis Feuillade esiste veramente, così come esiste anche già un altro film intitolato Irma Vep e datato 1996, sempre diretto dal medesimo Assayas. Basterebbe questo per far girare la testa anche al cinefilo più accanito, ma va da sé che quello del “caos creativo” è un intento dichiarato: al termine dell’ottava e ultima puntata (Nozze di sangue) le metafore e i riferimenti sono talmente tanti che è pressoché impossibile venirne a capo, con grande godimento di autore e sceneggiatori (e del pubblico, se si è disposti a stare al gioco).
Irma Vep: un continuo gioco di rimandi, citazioni, anagrammi
Si fa prima ad abbandonarsi al flusso, seguendo l’elegante messinscena attraverso il punto di vista della protagonista Mira. Una donna affascinante, in bilico tra crisi personale e fuga e potente riaffermazione di se stessa e del proprio talento. Mira è Irma (guada caso ne è anche l’anagramma, così come Irma Vep è l’anagramma di Vampire), e ad un certo punto i confini tra realtà e finzione sfumano. La osserviamo lavorare sul set, annoiarsi nelle solitarie stanze d’albergo, dialogare col regista René o con gli altri addetti ai lavori.
E poi, quando indossa la calzamaglia della protagonista, Mira non solo indossa i panni che deve interpretare, ma diventa letteralmente quel personaggio. La ladra Irma Vep ha poteri sovrannaturali, e così anche l’attrice che ne assume i connotati finisce per diventare un essere fantasmatico in grado di attraversare i muri e ascoltare le conversazioni altrui. L’enigma è estenuante e assieme irresistibile, perché non ci dà la possibilità del minimo controllo su ciò che si palesa davanti ai nostri occhi.
Guida per conoscere il mondo dello spettacolo (e per imparare a fuggirne)
E proprio nel momento in cui ci sembra di aver finalmente afferrato le redini della narrazione, tutto sfugge nuovamente di mano. Un’opera-rompicapo, disseminata di strizzate d’occhio e che può essere letta a più livelli (senza che per questo diminuisca il godimento). Se decidiamo di restare in superficie, osserviamo quasi con spirito entomologico la vita, le follie e le illogicità proprie di uno studio cinematografico, dalle crisi degli autori stessi (col trip paranoide del cineasta René Vidal, che a metà serie abbandona tutto per manifesta incapacità) ai piccoli grandi accordi sottobanco necessari per far sì che lo spettacolo vada avanti (con la società di cosmetici che finanzia il progetto esclusivamente interessata a fare di Mira il nuovo volto del suo marchio di profumi).
Ma se invece scoperchiamo il vaso di Pandora e scrutiamo più in profondità, realizziamo quanto Irma Vep sia in realtà una caustica riflessione tra estetica e contenuto, sulla coltre di ingiallimento che il denaro getta su tutto. Quella che inizia come una satira del mondo dello show business, con dirigenti cinici, lacchè agitati e dive da strapazzo, si trasforma gradualmente in qualcosa di più filosofico sul rapporto tra fatti e finzione, verità e sogni, esistenza e arte. Mentiremmo se dicessimo che tutto funziona, di alcuni momenti poco o male sviluppati avremmo fatto volentieri a meno; ma una volta che ci si sintonizza coi suoi ritmi stravaganti, Irma Vep non può che conquistare con la sua arguzia, la sua sofisticatezza e la sua incompatibilità con il resto della produzione seriale contemporanea.