Japan Sinks 2020: recensione della serie anime di Netflix
Un Giappone alle prese con calamità naturali che ne minacciano l'esistenza, una famiglia che resta unita per sopravvivere: su Netflix arriva l'anime Japan Sinks 2020 diretto dal visionario Masaaki Yuasa.
Masaaki Yuasa torna su Netflix (dopo The Tatami Galaxy e Devilman Crybaby) con il nuovo anime Japan Sinks 2020, disponibile dallo scorso 9 luglio sulla piattaforma in 10 episodi da venti minuti circa ciascuno. L’anime è l’adattamento cinematografico del romanzo Nihon Chinbotsu dell’autore giapponese Sakyo Komatsu. Il regista Masaaki Yuasa, però, sposta le vicende narrate dagli anni ’70 al 2020, incrementando così l’immedesimazione dello spettatore nella storia.
La trama di Japan Sinks 2020: un Giappone apocalittico
Tokyo, 2020. La città viene quasi interamente rasa al suolo da un terremoto di massima entità che scuote l’intero Giappone. Alla catastrofe della terra in subbuglio si aggiunge anche uno tsunami che miete vittime e minaccia di far sprofondare del tutto il Paese nel mare, come pronosticato da uno studioso locale. La famiglia Mutuo è protagonista della storia: dopo essersi riunita col padre, con il fratello e con la madre di ritorno da un viaggio, la quattordicenne Ayumu – una promessa della ginnastica artistica – incomincia l’odissea verso la salvezza insieme ad altri personaggi che si aggiungeranno alla famiglia man mano che la fuga si sposta da Tokyo all’entroterra. Altre calamità naturali però sono in agguato e la famiglia dovrà lottare per restare unita e sopravvivere alle tragedie che stanno distruggendo la nazione.
L’importanza di restare uniti, una filosofia dell’ottimismo nel cuore della tragedia
L’anime è un adattamento del romanzo di Sakyo Komatsu che, ironia della sorte, è stato ambientato proprio nel 2020, periodo buio per via della pandemia di Covid-19 che ricorda moltissimo l’atmosfera apocalittica della serie. Proprio come il coronavirus, anche il terremoto è un nemico invisibile reso ancora più letale dall’eruzione del Monte Fuji. Siamo lontani dagli eccessi surreali e dalle bizzarrie solite di Yuasa, qui il regista è particolarmente crudo nel racconto di una realtà che non lascia spazio a sentimentalismi eccessivi – molti personaggi muoiono all’improvviso in circostanze violente, tanto che non c’è nemmeno il tempo di di dirgli addio. La morte in Japan Sinks 2020 non guarda in faccia nessuno, non vengono risparmiate scene cruente che vedono protagonisti bambini o persone anziane. Yuasa sembra voler raccontare fedelmente quanto meschina possa essere la vita e quanto l’esistenza stessa possa rivelarsi fragile e crollare come un castello di sabbia in riva al mare, magari spazzato via da un’onda improvvisa.
Così il Giappone affonda, sotto il mare che si prepara ad accogliere nella sua oscurità quegli skyline futuristici e tutto il fascino di un paese amato in tutto il mondo. Il Giappone affonda, ma non il suo amor proprio: la famiglia Mutuo dovrà anche avere a che fare con l’estremizzazione dell’amore per la patria, un nazionalismo che non lascia scampo e metterà in pericolo anche la madre dei ragazzi protagonisti, proveniente dalle Filippine, e i ragazzi stessi, non ritenuti di “sangue puro”. Non sempre le catastrofi fanno uscire i lati migliore degli essere umani, ma il regista non si ferma solo a quelli negativi, dove individualismo ed egoismo hanno la meglio sulla ragione, ma esalta anche la bontà umana e l’innata propensione ad aiutare, stringere amicizie e alleanze per la sopravvivenza comune.
Japan Sinks 2020 risulta, in maniera anche un po’ inquietante, uno specchio della realtà che abbiamo vissuto proprio nei primi sei mesi di questo 2020, dove promesse e progetti sono stati spazzati via dal virus con la forza di un terremoto. Per questo motivo la visione dell’anime potrebbe non risultare leggera (e non ambisce ad esserlo), ma d’altra parte forse non c’è momento migliore per empatizzare con i personaggi ed immedesimarsi nell’opera. Nonostante Yuasa ci mostri una regia coi piedi “piantati per terra”, senza stravaganze nel disegno e magari meno pop rispetto alla sua solita verve, il regista fa un ottimo lavoro nell’adattare il romanzo ai toni più scanzonati dell’animazione senza togliere la dimensione realistica alla storia, raggiungendo un insieme gradevole che merita la visione della serie – piccola nota dolente nel parlato: non altrettanto piacevole è il doppiaggio in lingua italiana, che forse suggerisce di guardare l’anime in lingua originale per apprezzarlo meglio.
Un buon lavoro è però stato svolto dalla colonna sonora che offre allo spettatore un rap corale, cantato dai protagonisti e che funge da inno all’andare avanti e al non demoralizzarsi mai, nemmeno di fronte a quella che sembra una disfatta annunciata. Andare avanti è ciò che la madre di Ayumu ha insegnato a fare ai propri figli e quello che questi metteranno in pratica in tutto il corso della serie. Come dice la protagonista:
Il sole tramonta, ma poi sorge ancora dalle tenebre.