Kiss Me First: recensione della serie tv Netflix
Kiss Me First è un racconto sociologico, ricco di implicazioni etico-filosofiche che disquisisce su temi importanti. La nostra recensione.
Cosa fa più paura di essere se stessi? Cosa spaventa di più che mettere a nudo la propria identità? Probabilmente niente. Su questa idea si basa molta della fantascienza contemporanea, molti dei romanzi, dei film e delle serie tv di oggi. Un lungo discorso sull’identità, quella che difficilmente accettiamo, quella che vorremmo, quella che indossiamo, come se fosse la vera pelle, per essere accettati. Kiss Me First – un mix di realtà, live-action, animazione digitale, un po’storia d’amore, un po’ dramma, un po’ cyber-thriller, è una serie britannica di 6 episodi, in onda su Channel 4, approdata dal 29 maggio su Netflix, serie che lavora proprio intorno al concetto di identità e di realtà virtuale. Kiss Me First, un adattamento dell’omonimo libro di Lottie Moggach, per mano di Bryan Elsley, padre di Skins, narra la storia di Leila Evans (Tallulah Haddon) che, dopo la morte di sua madre, trova rifugio in Azana, una realtà virtuale dove le persone costruiscono un loro avatar per fuggire dai drammi della vita. Leila, rimasta sola, non ha amici e soffre, invece di fronte al computer, con visore addosso, veste i panni di Shadowfax, e anestetizza la ragazza fragile, insicura e addolorata che è.
Kiss Me First: Leila/Shadowfax un’Alice moderna
Leila è curiosa di scoprire cosa nasconda quell’universo altro e vi si aggira, lì incontra Mania, il suo vero nome è Tess, (Simona Brown), affascinante e turbolenta, che le fa conoscere un gruppo, Pillola Rossa (chiaro omaggio a Matrix), sommerso, nascosto dentro Azana. La protagonista viene avvicinata per essere reclutata, è abbastanza disperata e ferita, è come tutti gli altri giovani che Adrian, il leader del gruppo, ha raccolto intorno a sé.
Leila vive in una realtà grigia, dolorosa, in un mondo in cui non c’è via d’uscita per chi soffre, dove chi è debole non viene accolto ma viene messo da parte, ghettizzato, umiliato, bullizzato. La giovane donna ritrova in Tess/Mania un’anima affine, pensa che quel gruppo sia, come Azana, l’unica isola felice, porto sicuro per chi non conosce felicità ma solo lacrime, solitudine e disperazione. Shadowfax riconosce Red Pill come un luogo interessante, consolante, e Adrian, come una sorta di pifferaio magico che richiama i suoi ragazzi e li guida a compiere qualunque gesto. Unisce, accarezza, abbraccia i suoi adepti – è chiaro infatti che questo non è un gruppo ma una setta – che sono come i “bambini sperduti” di Peter Pan, emerge dal principio che Azana e Adrian nascondono qualcosa. Dopo che Leila e Tess diventano amiche e si conoscono quindi anche nella realtà, la situazione precipita, tutto inizia a scricchiolare e il castello di carte crolla irrimediabilmente. A poco a poco, i due mondi, quello reale e quello virtuale, iniziano a incontrarsi e a confondersi e Leila/Shadowfax, novella Alice, moderna Neo, è immersa in un mondo alla Black Mirror che lei vuole conoscere e capire e ogni compagno diventa una persona non più e non solo un avatar.
Kiss Me First: Azana un mondo in cui (fintamente) va tutto meglio
Quando Leila indossa cuffia e visore, tutto è più facile, almeno all’apparenza, si tuffa nel mondo online di Azana e il dolore scompare (terribili i flashback in cui ricorda gli ultimi giorni di vita della madre straziata dal male), o meglio viene messo per un po’ in pausa e così esorcizza i suoi demoni. Quel finto giardino dell’Eden nasconde delle ombre spaventose e inimmaginabili (la scomparsa dei ragazzi nel gioco e nella realtà), dietro ai paesaggi meravigliosi si cela una cattiveria disumana, una violenza che intrappola chiunque vi entra al suo interno.
“We’re losers. We’re fucked up. We’re unusual”
Sono questo i ragazzi che lo spettatore vede strisciare nella vita normale e fingere di giganteggiare nella vita virtuale: sono pieni di talento, intelligenti, sagaci, ma soccombono perché non in grado di esistere. Sono talmente abituati alla sofferenza da esserne anestetizzati (“Nothing hurts” dice Shadowfax “That’s the point”) e perciò, tragicamente, sono costretti ad indossare un collare per provare un vero dolore e un vero piacere. Il virtuale al primo sguardo sembra una scappatoia per chi viene maltrattato, per chi è sregolato, per chi è convinto di essere la causa di tutto, è un modo per salvarsi da ciò che sta intorno, che ingabbia e ferisce; un tema questo che viene trattato da sempre in ogni forma artistica. C’è per questi ragazzi la necessità di ricercare un mondo migliore in cui possano sentirsi più sicuri e indistruttibili, ma in realtà in Kiss Me First nessuno è sicuro.
Leila è l’unica che ad un certo punto vuole ricominciare a vivere nella realtà, è l’unica a vedere l’anomalia, vuole entrarci per comprendere qualcosa di più, per salvare chi è sul punto di sparire per sempre. Come in Dieci piccoli indiani Leila assiste a questa partita crudele, a questa dimostrazione di forza da parte di una voce, di un corpo, di un avatar che gioca con chi non ha forza per ribellarsi. Solo Leila non ci sta e combatte, combatte quando Tess sparisce nel nulla, va alla ricerca di Calummy e cerca di aiutare Denier, insomma non rimane intrappolata in quell’intreccio di fila cibernetiche ma le scioglie colla e nella realtà.
Kiss Me First: un racconto sociologico
Kiss Me First è un racconto sociologico, ricco di implicazioni etico-filosofiche (il suicidio assistito ad esempio), disquisisce su temi importanti – come la privacy, la depressione e una società matrigna con i suoi figli -, con cui si deve fare i conti perché fanno parte del nostro vivere quotidiano. Ci sono vari spunti interessanti – che però Elsley non sviluppa del tutto -, una visione cupa della tecnologia del futuro, la dicotomia tra le relazioni che il mondo virtuale crea e la solitudine dell’uomo. Se da una parte lo show riesce bene a rappresentare il dolore dell’adolescente (elemento importante per Elsley) che non sa trovare il suo posto nel mondo, dall’altra è fin troppo pesante l’insistenza sul rapporto non chiarito e non sviscerato tra Leila e Tess. Risulta ben riuscita la rappresentazione di una società fredda e disumana ma poi inciampa quando in essa si infiltrano Azana e soprattutto Red Pill di cui non si comprendono bene le coordinate e il senso. Kiss Me First è una serie attuale fin troppo ambiziosa che, nonostante l’interesse generato dalla figura di Leila e la bravura di Tallulah Haddon, in più di una circostanza si attorciglia su se stessa (il ribaltamento della situazione, chi prima è scomparso poi va alla ricerca di chi lo cercava) proprio perché vuole percorrere fin troppe strade ma non ne analizza fino in fondo nessuna (il finale ne è un esempio).