Kung Fu Panda – Il cavaliere dragone: recensione della serie Tv su Netflix
Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone è la terza serie tv dedicata al protagonista della popolare trilogia cinematografica di arti marziali. Con le voci di Jack Black e Rita Ora, su Netflix dal 14 luglio 2022.
Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone è la terza serie TV dedicata al popolarissimo franchise d’animazione Kung Fu Panda, che nasce come film per le sale nel 2008, ma da lì in poi di strada ne ha fatta. Al cinema, in tv e sulle piattaforme. Complice un gran successo di pubblico e critica, un po’ dappertutto. Qui tutto quello che avreste voluto sapere sulla serie ma non avete mai osato chiedere. Una produzione Dreamworks Animation, disponibile su Netflix a partire dal 14 luglio 2022.
Formula che vince non si cambia, giusto? Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone è azione, umorismo, sentimento, l’eterno racconto di formazione e magari anche di perfezionamento. Soprattutto, è una coloratissima scorribanda di arti marziali e situazioni risolte per il rotto della cuffia. L’ostinato amore di Po per il kung fu è più esplosivo che mai, stavolta la storia gli offre l’opportunità di misurarsi con uno stile di combattimento e una filosofia di vita che non gli appartengono. Qualche difficoltà iniziale, ma non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo. Le voci originali dei protagonisti sono quelle di Jack Black e Rita Ora.
Kung Fu Panda – Il cavaliere dragone: la strana e bella amicizia tra Po e Lama Errante
Po è sull’orlo di una crisi reputazionale gigantesca. Anche se le cose non erano cominciate male, tutt’altro. Erano cominciate anzi più che bene. Eroe del kung fu amato e stalkerato da grandi e piccini, beniamino dell’imperatore, insignito dell’illustre titolo di Maestro Dragone. In breve, Po ce l’ha fatta. E cosa fa il più grande eroe della Cina, appena arrivato in cima al mondo? Un tour gastronomico del paese, perché il kung fu è il kung fu, ma il cibo è anche meglio. Proprio su questo crinale cominciano i guai.
La tappa sbagliata del viaggio è un piccolo paese chiamato Wankun, in teoria uno stop tra i tanti. Invece è l’inizio della fine. Un grosso equivoco, un groviglio narrativo dal sapore vagamente hitchcockiano con l’intera popolazione del villaggio che si convince sia stato Po, usando a sproposito un misterioso guanto magico, a causarne la distruzione. Non è così, nella vicenda è coinvolta una diabolica coppia di donnole che si chiamano Klaus (Chris Geere) e Veruca (Della Saba). Il guanto è il primo step di un viaggio molto pericoloso che i due intraprendono con finalità poco limpide e conseguenze chiare. Po (Jack Black) sa che deve fermarli, anche perché è l’unico modo per recuperare il suo buon nome, ma da solo può poco. Il morale è a pezzi. Da panda più amato a più detestato di tutta la Cina, lo scivolone butterebbe giù anche una celebrità più strutturata. Per fortuna Po non è solo.
L’aiuto provvidenziale, è a questo punto che Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone prende il volo, arriva insieme a Lama Errante (Rita Ora). Il nome per la verità sarebbe più articolato, è un orsa, viene dall’Inghilterra e di mestiere è cavaliere/cavaliera/cavalieressa, scegliete voi. Lama Errante ha un’armatura, un elmo, una spada, un codice di comportamento da tenere nella giusta considerazione, un passato da risolvere. Il suo conto in sospeso con le donnole è piuttosto grosso, ha pure un pessimo carattere. Po ne è istantaneamente affascinato e in più ha un disperato bisogno di nuove amicizie. Lei non sembra convinta, ma accetta di portarselo dietro e buona parte della chimica della serie nasce proprio dall’incontro scontro tra due caratteri, due stili di combattimento, due passi, che magari faticano ad accordarsi ma hanno molto in comune.
Kung Fu Panda – Il cavaliere dragone: la serie bilancia elementi di novità e consuetudine
Dopo tre film, due serie tv, incassi importanti e anche un pugno di progetti collaterali (cinque e sono cortometraggi), cosa può portare al franchise Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone che assomigli anche solo vagamente a una novità? La serie cerca di risolvere il problema intervenendo prima di tutto sulla composizione del cast. Dei tre film, che poi sono il nocciolo duro della saga in termini di consensi, immaginario e presa sul pubblico, ci sono solo Po e Mr. Ping (James Hong). Riempire il racconto di nuove facce (di nuove specie) serve a tonificare, al centro e ai margini, una dinamica narrativa che, per quanto accattivante e ben oliata, soffre nel lungo periodo i limiti della ripetizione.
D’altronde Po è sempre Po, goffo, maldestro, simpaticissimo e pronto all’eroismo quando serve. Portare nuovi personaggi che vengono da lontano, sovrapporre sul fondo action/arti marziali della serie stili e filosofie diverse rispetto al baricentro asiatico di Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone, da un lato conferma l’equilibrismo dell’operazione (qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, ma senza esagerare). Dall’altro, risponde a un bisogno di inclusività e apertura che oggi è imperante, al cinema e in tv, in sala o sullo streaming.
La morale della favola la conosciamo bene. La serie non cerca di portare avanti il discorso, semmai lo perfeziona. Elogio dell’amicizia, celebrazione del coraggio e della volontà di superare i propri limiti, sempre e comunque insieme. A fare da cornice a Kung Fu Panda: Il cavaliere dragone è un’azione serrata e un umorismo autoironico (anche un retrogusto più maturo da non sottovalutare) che viaggiano quasi col pilota automatico; non tutta la ripetizione viene per nuocere. L’immagine perde di mordente, non potrebbe essere altrimenti con tanti episodi di 24 minuti ciascuno e il relativo (non indifferente) sforzo creativo e finanziario. Si avverte, a tratti, il vuoto lasciato dall’estetica curatissima e lussureggiante dei precedenti cinematografici. Pur mantenendosi più che dignitosamente all’interno dello standard dell’animazione contemporanea, seriale e non, l’azione è restituita con una certa rigidità, mentre la costruzione dell’ambiente è segnata da un’economia di dettagli abbastanza insolita.