L’Alligatore: recensione del primo episodio della nuova serie di Daniele Vicari
Il Blues, i distillati e la nostalgia della nebbia. L’Alligatore, la nuova serie tv in otto episodi diretta da Daniele Vicari è davvero da non perdere. In anteprima su Rai Play e dal 25 novembre su Rai 2.
Sarà per quella vaga somiglianza con la dentatura dai canini sporgenti dell’enorme mascella dei rettili al centro della leggenda metropolitana che li vede ironicamente spuntare dai wc delle case newyorkesi. Oppure sarà per la sua gelida capacità di osservare, muoversi sinuosamente nelle paludi, mimetizzarsi sott’acqua e poi sferrare con un colpo mortale l’attacco fatale delle sue prede. Sta di fatto che Marco Buratti (Matteo Martari) nell’entroterra padovano, da tutti è conosciuto come l’alligatore. Protagonista prima dei romanzi di Massimo Carlotto, e ora reiventato detective senza licenza della nuova serie diretta da Daniele Vicari e Michele Scaringi, l’ex cantante blues del gruppo Old Red Alligators ha carisma da vendere e una volta uscito dal carcere dopo sette anni di detenzione per proteggere l’amico reporter Max La Memoria (Gianluca Gobbi) oltre agli incubi notturni e alla nostalgia della nebbia, in testa gli è rimasto il pallino per la giustizia. Affiancato dal contrabbandiere milanese Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi), l’uomo comincia ad indagare sull’omicidio di una donna riconducibile ingiustamente a un suo ex compagno di prigione, un giovane tossicodipendente accusato del femminicidio e usato da losche personalità dell’alta borghesia padovana per depistare il vero autore del delitto e infangare circoli di narcotraffico, rifiuti illegali e tanta corruzione.
L’hard boiled padovano tra evocazione sensoriale e vicende da gangster
Perfettamente in bilico fra un hard boiled a stelle e strisce e un denso noir all’italiana, il primo episodio in due parti de L’Alligatore sorprende per la sua straordinaria capacità di coinvolgere lo spettatore attraverso un’originale densità sensoriale oltre che narrativa. Prodotto da Domenico Procacci e da Fandango, la serie sin da subito sembra riecheggiare alla dannazione di Radiofreccia e all’ambientazione nebulosa e criminale della miniserie sulla Mala del Brenta Faccia D’angelo. Gli sceneggiatori Andrea Cedrola, Laura Paolucci in collaborazione con lo stesso Carlotto, riadattano il romanzo del 1995 con intuito e senza adulazione attraverso una scrittura attenta a tenere alta la curiosità del pubblico. Il risultato è una serie che nulla ha che invidiare con i grandi racconti della provincia nord americana in cui la cadenza del dialetto veneto e i stretti canali del Po non sono mero contorno paesaggistico ma veri e propri protagonisti. L’alligatore supera la logica del fine narrativo sito nell’acciuffamento giuridico del colpevole e la risoluzione dell’enigma, ma fa della sua abilità nel dare spazio alle atmosfere, alle sensazioni nostalgiche del blues, ad assaporare con lentezza climi e impressioni tipicamente nordiche, il suo appeal accattivante davvero inedito.
Il toso padovano in costante hangover respinge ma è dannatamente attraente
Daniele Vicari guarda alla provincia padovana come fosse quella del nord America, costruendo con altrettanta densità e malinconia un racconto gangster che trova nella gestualità respingente ma ostinatamente attraente di Martari la sua forma più complessa. Tra humor nero e cinismo l’alligatore è il perfetto eroe western amareggiato e dolente ma mai sconfitto, con la passione per il Calvados e lo sguardo malinconico di chi ha ancora addosso i segni delle botte subite. Tra il fumo del drum, lo stridio della giacca di pelle e il rumore degli stivali texani, l’alligatore si muove dondolante in un mondo corrotto e malavitoso alla ricerca di giustizia -in modi più o meno legali- e di fiducia verso quella (dis)umanità che sette anni prima l’ha chiuso in una cella senza aver commesso nulla. Una vita da ricostruire, una donna che ritorna (Greta interpretata da Valeria Solarino) e quella appena arrivata (Eleonora Giovanardi, Virna), nemici da braccare e vecchi amici da perdonare.
Nel panorama attuale delle serie tv Rai L’Alligatore è davvero tra i prodotti da non perdere, incline al binge watching ma che come un buon distillato francese va assaporato con la giusta lentezza per apprezzarne davvero l’aroma.