La Casa di Carta: Corea Parte 2 – recensione della seconda parte della serie
Arriva su Netflix il 9 dicembre 2022, la seconda parte di La Casa di Carta: Corea – con la regia di Kim Hong-sun e con la sceneggiatura di Ryu Yong-jae, Kim Hwan-chae e Choe Sung-jun – che conclude la storia della rapina alla Zecca della Corea riunificata. Il punto inevitabilmente è uno: ha senso realizzare un remake di una serie di questo tipo? Bisognerebbe forse cercare di guardare lo show senza pensare all’originale però è molto difficile perché è ancora molto forte il ricordo della serie spagnola – che inevitabilmente ha segnato il pubblico di tutto il mondo sotto molti aspetti – da poco terminata.
La Casa di Carta: Corea Parte 2: una rapina che diventa un’enorme utopia
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In questa seconda parte, la squadra del Professore sta tentando di portare avanti il piano del capo in modo da stampare danaro per un importo di 4 trilioni di won, una somma così importante potrebbe creare o distruggere qualsiasi economia. Come nella serie spagnola anche qui si mostra il passato del Professore e quello di suo fratello Berlino. Mentre dentro la Zecca la tensione è alle stelle anche fuori i giochi si fanno tesi, la pressione politica aumenta, la polizia prova a salvare gli ostaggi e i politici sembrano interessarsi poco delle vite umane privilegiando il loro interesse personale: c’è l’agenda politica, ci sono segreti da tutelare. La maglia tra riunificazione delle due Coree e la quantità di soldi puliti e sporchi in ballo è sempre più stretta; a poco a poco tutto questo emerge ed è questo il punto che rende molto nazionale la serie. Non è difficile immaginare un futuro prossimo in cui queste potrebbero essere le direttrici economico-politiche.
La produzione coreana ambienta la storia dentro a questa situazione: una nazione divisa in due, una Corea sul punto di unificarsi. La Zecca qui assurge a simbolo di un’utopia.
Il punto è uno: non si vuole cambiare tutto ma solo rendere nazionale qualcosa che non lo è di base. Non ci si può aspettare altro dunque da La Casa di Carta: Corea se può essere interessante leggere lo show come prodotto coreano, risulta poco interessante invece perché troppo simile proprio a quell’originale. Sembra un paradosso e un gatto che si morde la coda, eppure la coperta è corta.
Un gruppo di personaggi che non riesce ad eguagliare totalmente gli omologhi spagnoli
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Buoni e cattivi, amici e nemici, la divisione è sempre più chiara e lo spettatore de La Casa di Carta: Corea Parte 2, proprio come nell’originale è dalla parte dei sequestratori, non potrebbe essere altrimenti. Il Professore e la banda sono rinchiusi dentro la Zecca, schiacciati da ansie, insofferenze, paure, i rapporti si distruggono e altri si creano, le storie dei singoli vengono a galla per comprendere i motivi per cui ciascuno di loro è lì. Il tempo scorre veloce e si mangia qualsiasi cosa, il piano ha i suoi tempi e la pressione cresce di minuto in minuto, gli imprevisti e i sabotaggi da parte di polizia e ostaggi sono sempre di più. La riuscita del colpo è a rischio.
Anche qui tutto si gioca su dentro e fuori, su esterno e interno; da una parte ci sono i buoni che hanno uno scopo, stampare il danaro, dall’altra i cattivi che vogliono fermarli. Il dentro però ha molte declinazioni: l’interiorità dei personaggi ma anche i luoghi in cui buoni e cattivi sono rinchiusi (la tenda della polizia, il bar in cui si sono conosciuti il Professore e l’ispettrice, la casa dell’ispettrice). Lì, le emozioni, i sentimenti i pensieri emergono. Poi c’è il mondo esterno, il fuori, che reagisce a ciò che avviene dentro: città, politica, Storia, e qui sta la differenza.
A tessere la trama c’è Il Professore, abile demagogo e manipolatore, che però ha anche altri problemi da risolvere, e riguardano i suoi sentimenti – l’amore per Woo-jin e per Berlino – che potrebbero mettere ogni cosa a repentaglio; e poi c’è Berlino (Park Hae-soo, bravissimo nel dare corpo al villain che tutto il pubblico ama), il sequestratore violento e sadico, reso pazzo dal dolore cronico. Nei primi sei episodi è solo il maniaco assassino, in questa seconda parte le sfumature si fanno più oscure e profonde: Berlino ha sempre cercato di distruggersi, durante tutta la sua vita, ora c’è qualcosa di diverso, acquista il senso del sacrificio.
Proprio nei personaggi de La Casa di Carta: Corea Parte 2 però qualcosa non torna: il Professore e gli altri sono l’elemento per cui lo spettatore ama La casa di carta, qui invece, nonostante la storia sia quella, gli attori che interpretano Rio, Tokyo, Denver e il resto della banda non si fanno amare quanto i loro omologhi. Se ne La casa di carta spagnola sono tratteggiati tanto bene da far innamorare il pubblico di loro – basti pensare che molti degli attori della serie hanno spopolato anche in altri show proprio grazie a questa esperienza-, non si può dire altrettanto per la versione coreana.
La Casa di Carta: Corea Parte 2: episodi troppo lunghi che appesantiscono la trama
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Un elemento che non gioca a favore della serie è la lunghezza degli episodi, troppo lunghi: circa 70 minuti a episodio. Nonostante i colpi di scena e l’azione che si fa più spettacolare e ipercinetica, c’è qualcosa che non coinvolge lo spettatore. La casa di carta spagnola è un heist movie che si fa anche melodramma, telenovela, racconto rivoluzionario, sono tanti gli ingredienti dello show che riescono a coprire vari registri e quindi colpire vari pubblici. Qui il gioco non funziona, sarà che la Corea è completamente diversa dalla Spagna, sarà che si tratta di una terra divisa, sarà che nella memoria c’è stampato l’originale.
Uno show realizzato per la nazione d’origine e non tanto per chi conosce la serie originale
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La sensazione è che il desiderio alla base di La Casa di Carta: Corea sia stato quello di colpire soprattutto il pubblico asiatico e non riesca a fare centro per il pubblico che conosce benissimo La casa di carta.