La costa del crimine: recensione della serie TV
Una serie pseudocrime che predilige confezione stilosa e soundtrack effetto nostalgia alla-coerenza narrativa e alle qualità propriamente drammaturgiche.
Nick Love, regista de La costa del crimine, serie TV pseudocrime dal 16 agosto 2024 su Sky e su NOW, dimostra di avere orecchio allestendo, in otto episodi, una lunga playlist di successi anni ’80, da copiare se si ha intenzione di organizzare ancora qualche festa a bordo piscina prima della fine dell’estate. Ringraziamo per il sound, ma, quanto al resto, il suo gangsta show è del tutto trascurabile.
La costa del crimine: tra drammone famigliare e musical malavitoso, la serie diretta da Nick Love non convince
La Costa del Sol è ambientazione spesso prediletta dagli showrunner di storie crime. Che si tratti di ricovero per nazisti impenitenti determinati a sfuggire alla legge – come nell’ingiustamente ignorato Jaguar, piccolo gioiello nascosto nel catalogo Netflix – o di cornice naturale del malaffare ben impomatato – come nel recente I Farad (Prime Video) –, l’estremo sud della Spagna lambito dal Mediterraneo, per ragioni sia storiche sia sociali sia estetiche, fornisce scenari sufficientemente assolati da contrastare l’oscura pulsione sadica radicata negli uomini e sufficientemente rispettabili da coprire le riposte intenzioni del male, le condotte deviate che talvolta evolvono nell’esplicita trasgressione criminale.
La costa del crimine, titolo scelto per la distribuzione italiana in luogo dell’originale A Town Called Malice, si muove tra la Londra sudorientale e la Costa del Sol per seguire le vicende di una famiglia di malavitosi in declino, i Lord, determinati a recuperare reputazione e rispetto nei circuiti gangsta della capitale inglese. Il più piccolo dei tre figli, Gene, tenuto dai genitori e dai fratelli maggiori ai margini dell’attività di famiglia, vorrebbe fare il giornalista, ma resta coinvolto da un regolamento di conti in cui rimane ucciso un poliziotto. C’entra anche Cindy, la bartender afrodiscendente di cui è innamorato e alla quale ha chiesto di diventare sua moglie. Rocambolescamente riparatisi in Andalusia, ospiti dell’intrigante zio ‘crooner‘ Tony, i due vorrebbero cambiare vita, ma il richiamo del sangue – da intendersi nel duplice senso di comportamento violento e di eredità famigliare – è più forte di ogni buona intenzione.
La costa del crimine: valutazione e conclusione
Tra crime family drama, con toni più farseschi che noir, e gangster musical comedy, La costa del crimine è un ibrido che confonde per eccesso di cliché non facilmente riconducibili a chiari archetipi – ma l’impressione di chi guarda è sempre quella di aver già visto, da qualche altra parte, facce e situazioni rappresentate – e incuranza per l’incoerenza di trame e sottotrame. L’attenzione del regista sembra rivolta esclusivamente alla confezione e alla punteggiatura sonora: i contesti scintillanti del divertimento anni ’80 sono i veri protagonisti, nella ricostruzione dello spirito edonista dell’epoca, di tutto il racconto visivo, insieme alla sontuosa rassegna di pezzi cult di quella stagione musicale, utilizzata sia per sottolineare retoricamente momenti di maggiore intensità emotiva sia per dare corpo alla rappresentazione stessa, per il resto priva di peso drammatico.
L’articolazione in episodi (otto in totale) impoverisce, pur nel crescendo del ritmo, la restituzione della storia di una famiglia criminale a cui sarebbe bastato il tempo succinto di un lungometraggio per dipanarsi e acquistare la giusta densità narrativa. Potremmo dire, per levigare la durezza di un giudizio non proprio lusinghiero sulla serie, che La costa del crimine è uno show tecnicamente ben realizzato che ha il pregio di intrattenere senza risultare mai indigesto, ma, di fronte alla pletora di offerte intrattenitive analoghe, scritte però con maggiore perizia drammaturgica, ci chiediamo perché lo si dovrebbe preferire e non troviamo né nei numerosi spargimenti di sangue né nei glitter della patinatura glam né nelle modalità di indagine delle dinamiche familiari né nel tono vagamente umoristico ragione sufficiente a farlo. Resta, a fare da esca e forse da traino, la musica. Quella, sì, grandiosa.