La rapina del secolo: recensione della miniserie colombiana Netflix
La vera storia della rapina alla Banca della Repubblica di Valledupar del 1994, raccontata dal punto di vista dei protagonisti Chayo, Molina e Doña K. Un colpo sensazionale e tragico, rimasto impresso nell'immaginario collettivo.
Forse non tutti sanno che la trama della pluripremiata e pluriacclamata serie tv La casa di carta è ispirata a fatti realmente accaduti: in Colombia, tra il 16 e il 17 ottobre del 1994, una banda formata da – pare – più di 20 persone rubò oltre 24 milioni di pesos (corrispondenti a 41 miliardi di dollari) dalla Banca della Repubblica di Valledupar, dando poi il via ad una caccia all’uomo e ad una fuga disperata protrattasi per anni. Una rapina senza precedenti, la più grande mai realizzata di una refurtiva esclusivamente in contanti, divenuta monito ed esempio per una nazione ad alto tasso di criminalità e corruzione.
La rapina del secolo, miniserie in 6 puntate disponibili su Netflix dal 14 agosto, ripercorre quella vicenda, in modo meno romanzato rispetto al prodotto di Álex Pina ma non per questo documentaristico. Il disclaimer posto al termine di ogni puntata parla chiaro: siamo di fronte ad un’opera fittizia e non ad una fedele riproduzione della realtà, e la verità risiede in diversi atti processuali. Una precisazione forse superflua, ma che rende bene l’idea di come questo episodio sia fortemente radicato nell’immaginario collettivo e di come la giustizia non abbia ancora del tutto fatto il suo corso.
La rapina del secolo: “Siamo ladri onesti, non criminali”
D’altronde, l’estrema cura del dettaglio e la professionalità della messinscena sono tali da portare spesso al cortocircuito: il lavoro degli showrunner Pablo González e Camilo Salazar Prince è ambizioso e avvincente, e conosce le regole base del blockbuster criminale pur senza ripeterlo pedissequamente. La (dis)avventura del gioielliere Chayo che, a seguito di una truffa finita male, recluta la vecchia banda per un colpo epocale grazie al quale saldare debiti e pendenze mafiose è un canovaccio narrativo risaputo, basato sullo spunto degli sfavoriti / emarginati che sfidano la grande macchina militare e statale.
Il potente senso del ritmo, l’alternanza di heist movie e deriva soapoperistica – con approfondimenti affettivi e familistici sui singoli personaggi – e il tratteggio approfondito dei caratteri rendono tuttavia la serie efficace e originale, anche non conoscendo il fatto di cronaca da cui tutto nasce. A lasciare il segno è, in questo senso, soprattutto la rappresentazione dell’etica e della morale del bandito, modulata attraverso i comportamenti di Chayo, dell’Avvocato Molina e della scaltra donna d’affari Donna K. Essere ladri non significa essere criminali, occorre mantenere un alto profilo in assenza del quale si va incontro ad un ovvio tracollo e fallimento.
Tutti i soldi del mondo
Il climax di La rapina del secolo si consuma con l’episodio interamente dedicato al furto (tesissimo e solido, degno delle migliori sequenze di Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet), che segna una cesura fra primo e secondo “tempo” della stagione. Alla parte introduttiva dedicata allo studio del colpo e al reclutamento del gruppo, fa da controcanto una metà in cui si ragiona più apertamente sulle conseguenze del misfatto. Nel mondo in cui il disonesto Chayo e i suoi soci si muovono, la normalità è una corruzione che coinvolge tutti, come in un effetto domino e in una reazione a catena dalle quali è impossibile sfuggire.
Il denaro è maledetto, perseguita e ammazza. O, come già abbiamo imparato dall’ineguagliabile Breaking Bad, costringe all’eterna fuga, in una spietata pena del contrappasso che porta alla miseria e all’invisibilità sociale e umana. Tematiche anche in questo caso non particolarmente innovative ma per nulla scontate, che accrescono la credibilità e la coerenza del risultato finale. La critica americana chiede già a gran voce un remake, per raggiungere un bacino più ampio di pubblico; a noi piace pensare che il colombiano La rapina del secolo non abbia bisogno di alcun sterile rifacimento, ma solo di un buon passaparola.