Leopardi. Il poeta dell’infinito: recensione della fiction Rai
Una serie piacevole, ma riuscita solo a metà.
Il 7 e l’8 gennaio 2024 va in onda in prima serata su Rai Uno Leopardi. Il poeta dell’infinito (2024), miniserie evento diretta da Sergio Rubini, e scritta da Carla Cavalluzzi, Angelo Pasquini, e Rubini stesso. Ad interpretare una delle figure simbolo del romanticismo troviamo l’attore ventisettenne Leonardo Maltese. Il cast è arricchito da volti noti e amati del cinema e della televisione italiana, tra cui Alessandro Preziosi, Cristiano Caccamo e Giusy Buscemi.
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Leopardi. Il poeta dell’infinito: di cosa parla la miniserie diretta da Sergio Rubini
Napoli, 1837. Lo scrittore e politico Antonio Ranieri (Caccamo), attraverso una serie di flashback, racconta la vita dell’intimo amico e geniale poeta, conte Giacomo Leopardi, al parroco di San Vitale, Don Carmine (Alessandro Preziosi), restio a dare degna sepoltura al genio di Recanati, per via del suo rinomato e ribadito ateismo.
La prima parte della miniserie è dedicata all’infanzia e alla giovinezza di Giacomo, che ci viene presentato come un enfant prodige, riluttante a seguire le regole, e appassionato di letteratura, lingue e poesia e, in generale, di tutto lo scibile umano; la sua sconfinata immaginazione è, tuttavia, intrappolata in un ambiente familiare chiuso e bigotto. Il conte Monaldo e la moglie Virginia dei Mosca di Pesaro sono, infatti, eccessivamente severi e indifferenti verso la salute mentale e fisica del loro primogenito, destinato sin dalla nascita alla vita ecclesiastica.
Le continue pressioni dei genitori spingono Giacomo a lasciare Recanati, e a girare tutta l’Italia, avvicinandosi alla politica, e diventando una figura nota e ammirata tra i salotti della nobiltà, grazie ai suoi scritti – prose, poesie, traduzioni – originali e appassionati.
La seconda parte della serie è dedicata al complicato rapporto di amicizia tra Leopardi e Antonio Ranieri – in maniera particolare, al triangolo sentimentale tra i due e la nobildonna Fanny Targioni Torzetti (Buscemi) -, e all’aggravarsi delle condizioni di salute del poeta.
Un racconto riuscito solo a metà
La serie diretta da Sergio Rubini prende le mosse da un espediente narrativo davvero originale ed interessante: la morte di Leopardi e il dilemma riguardante la sua sepoltura. Nella Napoli degli anni Trenta dell’Ottocento, infestata da una terribile epidemia di colera, c’era l’ordine di consegnare i morti alle fosse comuni, per ridurre il rischio di contagio. È qui che si inserisce Antonio Ranieri, determinato a dare degna sepoltura all’intimo e stimato amico nella chiesa di San Vitale Martire (in realtà, l’effettiva sepoltura del conte nella suddetta chiesa è tutt’oggi un mistero irrisolto).
Partiamo subito con il lodare la bellissima fotografia di Fabio Cianchetti; la prima scena, in particolare – ambientata di notte, in una suggestiva e uggiosa Napoli – trasporta immediatamente lo spettatore in un’epoca lontana, trasmettendo una sensazione tipica dei period drama, merito anche dell’accuratezza dei costumi e della colonna sonora.
A nostro avviso, la prima parte è la più convincente e coinvolgente tra le due; è particolarmente interessante il punto di vista del regista sul Leopardi leader politico – anche contro la sua volontà -, che diventa un simbolo di rivolta per via delle sue riflessioni sulle istituzioni politiche. Valutare quanto ci sia di attinente a fatti reali sarà compito di filologi; noi ci limitiamo ad apprezzare una linea narrativa appassionante, soprattutto se paragonata alla seconda parte della miniserie. Il secondo episodio è, infatti, incentrato quasi esclusivamente sul triangolo sentimentale tra Giacomo, Antonio e Fanny (protagonista del Ciclo di Aspasia). La due ore che compongono questa seconda parte appaiono confusionarie, ridondanti, e la velata volontà di raccontare la presunta relazione omosessuale tra Leopardi e Ranieri non viene sviluppata in modo appropriato; perciò, è difficile cogliere la posizione di Rubini in merito a questo argomento.
È curioso, inoltre, notare come nella prima parte della serie Ranieri abbia tutte quelle caratteristiche tipiche dei personaggi comic relief, salvo poi assumere dei connotati progressivamente più cupi, trasformandosi, talvolta, nel villain della storia.
Leopardi. Il poeta dell’infinito: valutazione e conclusione
In conclusione, vale la pena soffermarsi sul poco spessore dei personaggi femminili, mero supporto delle controparti maschili. Fanny e Paolina hanno una scrittura approssimativa, mentre Virginia ci viene mostrata come un prolungamento del marito, quando, nella realtà dei fatti, prese le redini della casa dopo diversi investimenti sbagliati di Monaldo.
Infine, vista la complessità del pensiero leopardiano, sarebbe stato molto più interessante dedicare una parte rilevante della serie alla sua poetica, al suo pessimismo cosmico. Qui dobbiamo evidenziare come l’immaturità, anche fisica (dovendo Maltese interpretare un uomo di quasi 40 anni), dell’interprete principale non abbia favorito la piena riuscita dell’opera (soprattutto se paragonata alla performance di Elio Germano ne Il giovane favoloso). Leopardi ci appare come un ragazzo insicuro, fragile, fermo sulle sue idee ma, allo stesso tempo, poco convincente. Anche la trasformazione fisica dovuta all’aggravarsi delle sue condizioni di salute è poco evidente.
In conclusione, Leopardi. Il poeta dell’infinito è una serie piacevole ed esteticamente ben curata, ma il suo contenuto rimane, in alcuni tratti, superficiale.