Lo show di Big Show: recensione della sitcom Netflix

Le care vecchie sitcom. Quelle rassicuranti, frivole, divertenti, familiari. Quelle da pochi ambienti, da una casa grande abitata da pittoreschi personaggi, con le risate di sottofondo e quel cuore di panna che può appartenere soltanto a quella sfera irreale e idilliaca dei programmi tv. Un’invenzione intramontabile, un paradigma che intrattiene con la leggerezza delle gags e dei tormentoni, facendosi amare per le proprie futilità, sempre piene d’affetto e buone intenzioni.

Nella più classica delle accezioni di questa tipologia ben strutturata di produzione seriale, che è sempre meno frequente ritrovare con tali precise direttive, Lo show di Big Show ne va a occupare un posto da primato, effettuando la più lineare delle realizzazioni comiche come da tempo non se ne vedevano, proponendosi come traccia di una tradizione della sitcom da cui vuole attingere a piene mani.

Lo show di Big Show – Dal ring alla famiglialo show di big show, Cinematographe.it

Con protagonista il Big Show della WWE Paul Wight, il westler cintura mondiale si fa padre accorto e buffissimo per una serie in cui la sua vita in pensione si divide tra i  consigli alle sue tre figlie: Lola (Reylynn Caster), appena trasferitasi in Florida dalla casa materna, Mandy (Lily Brooks O’Briant) e J.J. (Juliet Donenfeld). Tutto con la complicità dell’intraprendente moglie Cassy (Allison Munn), riproponendo tipiche situazioni quotidiane dove il dividersi negli spazi della casa e della scuola diventa il principale, e continuo, scopo dei personaggi.

Una ripetizione presente non solo internamente a Lo show di Big Show, ossia in senso puramente scenografico, bensì ancor più a livello contenutistico, non certo nel riprendere a ogni puntata argomenti e situazioni degli episodi precedenti – a meno che non si tratti delle storie verticali che uniscono diverse storyline durante la serie -, ma senza dubbio rubando da un calderone trito e ritrito di soluzioni comiche per sitcom, sentore chiaro già confermato dalla sola visione del pilot. Vero è anche che, nel procedere delle puntate dedicate alla vita personale del performer wrestler Big Show, quel senso di plasticità, di vera e propria difficoltà dovuta a una patina di finzione dilettantesca e insopportabilmente ammiccante, va attenuandosi nello spettatore, sia un po’ agendo tramite sfiancamento, sia un po’ per l’abitudine che ormai si è fatta per il clima pittoresco della serie, mitigando quell’insopportabile simulazione iniziale e riuscendo così ad entrare in accordo con ciò che il programma propone.

Lo show di Big Show – Una serie che va presto al tappetolo show di big show, Cinematographe.it

Nulla, però, si può fare per l’arte interpretativa del massiccio protagonista della sitcom, non nuovo ad apparire in tutta la sua vastità davanti alla camera, ma in condizioni non agevoli dentro l’abito del papà umorista e a volte imbranato, troppo perfetto e troppo bisognoso di far sorridere da poter suscitare reazioni realmente spontanee e genuine. Tentativi a cui vanno a seguire, purtroppo, la moglie impeccabile e forzatamente esilarante dell’attrice Allison Munn e, come in una valanga di inadeguatezza e eccesso, le due figlie Reylynn Caster e Lily Brooks O’Briant, sicuramente brave se prese separatamente, ma non aiutate dalla scadenza e asciuttezza dei dialoghi. Discorso da cui va necessariamente esclusa la piccola Juliet Donenfeld, che con la sua J.J. non solo riveste il ruolo più intelligente dell’intera operazione attorno a Big Show, ma si dimostra la professionista più preparata e talentuosa, scheggia della sitcom a netta distanza da qualsiasi altro membro della famiglia e unica a presentare dei tempi comici impeccabili, conditi da una naturalezza che conquista e convince, oltre a fornire la più autentica dose di divertimento.

Nell’ampio palinsesto streaming della piattaforma Netflix, dove sempre più generi e formule creative vanno mischiandosi tra loro, Lo show di Big Show avrebbe potuto puntare sulla qualità da manuale tanto ricercata dalla sitcom ideata da Josh Bycel e Jason Berger, ma si adegua invece a una natura marionettistica che condiziona l’assetto tutto del prodotto, permettendo forse una visione leggera e priva di attivazione della materia grigia, ma dando l’idea di finire al tappeto prima ancora di cominciare.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2

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