Los años nuevos: recensione della serie da Venezia 81

Rodrigo Sorogoyen si presenta a Venezia con una serie iconica e struggente che racconta una storia d'amore nell'arco di dieci anni.

Il rapporto tra i grandi autori cinematografici e le serie, lo sappiamo, sta diventando sempre più stretto e confidenziale. Rodrigo Sorogoyen è un regista giovane e sorprendente, e infatti questo rapporto ha cominciato a stringerlo già diversi anni fa, ma è indubbiamente con i lungometraggi – Madre e As bestas su tutti – che ha ottenuto finora i maggiori riconoscimenti sul piano internazionale. Quest’anno, da buonissimo sperimentatore quale ha già dimostrato di essere, si presenta a Venezia 81 con Los años nuevos, una serie tv che apparentemente si distacca da gran parte della sua Opera e che ci auguriamo possa essere premiata con un’ampia distribuzione.

Esistenze stravaganti e convenzionali di umanità e animalità (dis)connesse

L’idea di partenza della serie è molto semplice ed efficace: mettere in scena, attraverso le feste di capodanno, i dieci anni di un amore nelle sue evoluzioni più disparate. Poiché la storia inizia nel momento in cui i protagonisti Ana e Oscar hanno trent’anni, non si tratta di un romanzo di formazione, eppure in parte sì, considerando che la fascia che va dai trenta ai quaranta è sostanzialmente un secondo periodo di formazione – più adulto – dove l’individuo e la coppia possono trovarsi a vivere momenti del tutto inediti e complicatissimi da gestire.

In Los años nuevos, Sorogoyen si dedica ad un racconto quotidiano e in apparenza lineare che in realtà nasconde tutti gli stilemi e le ossessioni dell’autore spagnolo: la tensione impellente e il fascino del conflitto, l’animalità non dom(in)ata e il vuoto abissale della solitudine. Le prime immagini che vediamo rappresentano il caos e la perdizione di una festa che sembra più che altro un ritrovo di bestie incontrollate pronte a sbranarsi o accoppiarsi a vicenda per puro istinto, poi l’atmosfera si addolcisce quando la placidità dei sentimenti prende momentaneamente il sopravvento, ma basta osservare la maniera in cui viene affrontata la sessualità per comprendere che la pulsione ferina è sempre e costantemente dietro l’angolo.

Il procedere degli avvenimenti, già di per sé emozionante, è reso ancor più autentico e struggente dalla scelta di puntare i riflettori su un giorno, quello che sigla il passaggio verso un nuovo anno solare, inevitabilmente caratterizzato dall’indecisione, dall’impotenza di fronte a ciò che non si può davvero controllare e dalla smania di averne la padronanza. Ogni episodio si apre con una trasformazione abbastanza netta rispetto a quello precedente – alcune dinamiche, nel corso di dodici mesi, inevitabilmente cambiano -, ma Sorogoyen evita qualsivoglia caduta nel didascalismo e lascia allo spettatore il compito di intenderne le dinamiche e le motivazioni.

Inizialmente, il fascino della storia tra Ana e Oscar risiede nella discontinuità del loro rapporto – nel secondo episodio vediamo i due molto uniti nonostante siano entrambi fidanzati -, e sembra che l’intento della serie sia quello di raccontare un amore irrisolto, invece ben presto la scrittura vira sulla rappresentazione della vita di coppia scivolando anche eccessivamente nella consuetudine, ma ci aspettiamo che nel secondo blocco di episodi qualcosa sposti nuovamente gli equilibri rompendo lo schema prestabilito.

Los años nuevos: valutazione e conclusione

La relazione tra i protagonisti si alimenta con la tensione ininterrotta tra il conforto dell’ordinario e l’instabilità della scoperta, tra la percezione intima e quella collettiva dello scorrere del tempo, in un’opera che si fa voce di un modello innovativo di serialità nel quale il dinamismo degli spazi vince sulla costruzione programmatica di un’arena, e che sa raccontare una specifica parte di esistenza in tutte le sue fatidiche e irrisolvibili contraddizioni.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.5