Love and Death: recensione della miniserie Tim Vision con Elizabeth Olsen
Elizabeth Olsen interpreta magnificamente la frizzante spregiudicatezza di Candace 'Candy' Montgomery, la casalinga che voleva solo sentirsi viva, ma finì per diventare un'assassina.
La trama di Love and Death vede Jackie, la guida spirituale di una comunità metodista di Lucas, nella Contea di Collin, in Texas, viene trasferita dal vescovo a causa del suo divorzio. Betty Gore, assidua frequentatrice della Chiesa locale, vive il cambiamento con ansia e preoccupazione: contesta il nuovo pastore, più inesperto e più arcigno della precedente; diserta platealmente le sue prediche.
Fragile e incline a sentirsi ansiosa e depressa, madre di una figlia e in attesa di un’altra, sembra legata morbosamente al marito Allan: soffre, infatti, le trasferte lavorative di quest’ultimo e fatica a trovare stabilità e centratura al di fuori della routine di coppia. Di diverso temperamento è la sua amica e vicina di casa Candy Montgomery: la notizia del fallimento matrimoniale di Jackie agisce in lei da sveglia, dissoda il terreno della trasgressione, del desiderio di movimentare una vita che si è arenata nell’abitudine e ha rinunciato a prendersi dei rischi.
Love and Death: da un fatto di cronaca che sconvolse l’America nel 1980, una miniserie che osserva, mostrandole, le conseguenze della noia (e dei suoi diversivi)
“Guarda qui, Jackie“, dice Candy alla ‘pastora’ di anime sulla via dell’esilio, indicandole il perimetro della sua cucina, “Mi sono occupata della casa, di mio marito, dei miei figli e che cosa ho avuto in cambio?“. Candy si chiede quale sia il compenso – nell’originale inglese è “paycheck“, scelta terminologica molto interessante – per il sacrificio di vitalità ed esperienze che ogni giorno depone ai piedi del focolare domestico. Il “paycheck” Candy è determinata a prenderselo da sola, e allora propone al marito della sua amica Betty, Allan, di intrattenere con lei una relazione basata esclusivamente sul sesso e consumata in motel fuori città, rigorosamente all’ora di pranzo: i sentimenti sono banditi, il coinvolgimento emotivo tenuto fuori dalla porta. Quello che Candace vuole è tornare a esprimere la propria sessualità, scrollarsi di dosso il torpore dei sensi, divertirsi almeno per un’ora, due a settimana, quando il resto del tempo non fa che macinare carne e ascoltare il marito sghignazzare per le battute idiote di un programma tv.
Ci viene da assecondare una certa simpatia per questa casalinga disperata che, al contrario dell’amica piagnucolona e timorata di Dio, prova a reagire prendendo la vita con leggerezza, giocando con sé stessa e con gli altri, divertendosi ad ammaestrare il goffo Allan, che non ha mai baciato alla francese, ma ha il potenziale per diventare un focoso e tenero amante, in grado di dare e ricevere piacere in modo progressivamente sempre più disinibito. Peccato però che il diversivo di Candy, alla lunga, fallisca il suo programma di neutralità sentimentale, anche perché dei suoi insegnamenti finisce per beneficiarne l’amica-rivale perennemente sull’orlo della crisi di nervi: è proprio vero che, sorrentinianamente, non è mai il caso di “sottovalutare le conseguenze dell’amore” e altresì non bisogna sottovalutare neanche le conseguenze del sesso. Queste sono, per loro natura, le più imprevedibili ed erratiche. Love and Death ci mostra che una storia di letto finisce sempre per uscire dal letto: a volte finisce pure che all’acqua che scorre dal soffione della doccia tocchi di lavar via non solo l’odore ‘ormonale’ delle secrezioni altrui, ma anche quello del sangue.
David E. Kelley crea una mini-serie in sette episodi – i primi quattro disponibili alla visione già dal 27 settembre; gli ultimi tre, dal 4 ottobre – a partire da un fatto di cronaca che, nel 1980, ha segnato l’immaginario statunitense e che appena l’anno scorso, nel 2022, era stato drammatizzato in un’altra serie, distribuita da Hulu, con Jessica Biel protagonista: l’omicidio non premeditato di Betty Gore, a suon di quarantuno colpi d’ascia, per mano di Candy Montgomery, friend with benefits di suo marito. “La vicenda è tratta da una storia vera“, ci viene ricordato all’inizio di ogni nuova puntata: più che manifesto di veridicità di quanto rappresentato, un invito a considerare fino a che punto le circostanze più romanzesche originino dalla banalità del quotidiano.
Elizabeth Olsen conduce il suo personaggio verso l’attuazione del gesto omicida con la levità propria di una personalità non addomesticabile, follettistica e impudente, per convenzione autoreclusasi nella gabbia di un’esistenza inerte. La sua infelicità è forse pari a quella dell’amica uccisa – “per legittima difesa“, sentenzierà la corte, e così pare siano andate le cose –, eppure si esprime diversamente: in una reattività ora eroica ora insolente che suscita più ammirazione che condanna, di certo sospensione del giudizio.
Love and Death: conclusione e valutazione
Priva di complessi di colpa, Candy è solo una bambina che vuole continuare a sentirsi viva e non si rassegna a un’età adulta senza avventura, mentre Betty rigurgita attraverso una sintomatologia più canonicamente ansioso-depressiva, inquadrabile clinicamente, l’inibizione interna, l’incapacità di sentire e di sentirsi. Il pregio di questa mini-serie pop per ritmo ed estetica risiede proprio nell’allusività mai frustrante di quel che agita sotto le apparenze da cui sono mistificate non solo le esistenze di due donne – più che due modelli femminili in antitesi, due possibili manifestazioni di sofferenza, una più conclamata, l’altra più latente e compensata –, ma anche di un’intera comunità religiosa sì dinamica e ‘moderna’, e tuttavia, in verità, attraversata da profonde contraddizioni e da compromissioni affettive radicate. Il nodo si colloca sempre nel punto d’intersezione tra struttura psichica individuale, tra risultanza del complesso famigliare e della mitologia interna, e struttura sociale: qui l’America rappresentata – e, nella rappresentazione, indagata – è quella tenuta insieme da un protestantesimo fallacemente aperto alle questioni etiche, ingannevolmente inclusivo e accogliente.
All’interno delle case impeccabilmente lucidate del Texas più borghese e tra i banchi ‘cantanti’ delle chiese metodiste, si consumano pulsioni e desideri disordinati che tutto concedono alla paura che uomini e donne perbene hanno di perdere status e reputazione, a dispetto della loro sbandierata emancipazione dal giudizio esterno e dalle prudenze cattoliche. La Candy di Elizabeth Olsen – un’attrice che si rivela straordinaria nel tono che raggiunge, con un fondo d’ironia grottesca che riesce a preservare fino alla fine – è, allora, in rapporto al contesto in cui è inserita e da cui la sua psicologia risulta sia per derivazione sia per contrapposizione, un’eroina dal cuore nero e bianco insieme: se la sua rivendicazione del diritto a godere e a prendersi il piacere fine a sé stesso ci appare rivoluzionaria, se da applaudire è il suo rifiuto a consacrarsi a un’idea – il matrimonio come scrigno di felicità; il sesso come sublimazione dell’amore –, d’altro canto, frana di fronte all’illusione di immunità, di fronte all’ingenuità di credersi protetta dal e nel gioco. Come ci dimostra il teatro antico, la tragedia spesso progredisce a partire da un sentore di commedia o si genera nella farsa; come ci spiega la psicoanalisi, è proprio quando scherziamo che diciamo la verità. Love&Death è la vicenda di una doppia infelicità femminile che, come spesso accade, evolve in follia da un principio di distrazione: follia psicotica, da una parte; psicopatica, dall’altra. Una storia perfettamente americana, che nella cultura puritana sotto mentite spoglie incontra l’humus più congeniale alla sua esplosione.