Love, Death & Robots – Volume 2: recensione della serie antologica Netflix
La realizzazione, ideata e prodotta da Tim Miller, torna con una nuova serie di corti indipendenti, esteticamente incredibili ma meno vari e memorabili rispetto al Volume 1
Love, Death & Robots, serie antologica d’animazione rigorosamente per adulti, al suo debutto, nel 2019, con la prima carrellata di 18 corti di durata variabile, ha completamente stravolto Netflix, portando sulla piattaforma streaming un concentrato di gore, fantascienza, sesso, violenza e anche un po’ di filosofia. L’opera, prodotta, tra gli altri, da David Fincher e Tim Miller (che figura anche come creatore dell’intero progetto), ha conquistato i palati più variegati con una carica inarrestabile di potenza visiva e contenutistica, facendo sempre affidamento sulla varietà sia degli stili d’animazione che delle tematiche, sfornando dei veri e propri gioielli di forma e tecnica.
A due anni dalla messa in onda, Love, Death & Robots è tornata su Netflix il 14 maggio, con un Volume 2 con meno puntate e un impatto decisamente inferiore rispetto alla trascinante e indiavolata frenesia che i primi, intensi episodi avevano trasmesso. I progetti antologici (sia seriali che non) hanno da sempre questo grande difetto: se da un lato la varietà è l’obiettivo ultimo che viene perseguito, accompagnarla anche ad una qualità generale non è per nulla semplice, proprio in virtù delle differenti voci che prendono parte al progetto. Ne consegue che il Volume 1 aveva dei corti meno efficaci rispetto al totale ma, in questo caso, con il Volume 2, tale aspetto è più evidente e presente. Scopriamo insieme il perché con la nostra recensione della realizzazione.
Love, Death & Robots – Volume 2: alla ricerca dell’organicità
Ad un primo sguardo generale di Love, Death & Robots – Volume 1 era evidente che i vari autori e team artistici coinvolti non cercavano un’organicità di fondo, ma anzi, si facevano forza della diversificazione, spaziando in maniera incredibilmente eclettica. Se ciò non garantiva una navigazione coerente e chiara tra le opere, il pubblico riusciva comunque a trovare delle realizzazioni che spiccavano tra le altre e ne usciva conquistato, proprio perché sicuramente erano completamente opposte rispetto ad altre preferenze.
Con il Volume 2, ci accorgiamo fin da subito il cambio di direzione perseguito da Miller e soci: annullare quasi del tutto la differenziazione, puntando su meno puntate e con stili d’animazione più organici e coerenti fra loro. Se all’apparenza si può pensare che tale scelta possa effettivamente giovare al progetto perché si persegue una linea comune, gli 8 episodi (contro i 18 della prima stagione) ci appaiono meno dirompenti e più tradizionali, con una voglia di sperimentazione che sembra essersi affievolita.
Non discutiamo tanto del lato tecnico e artistico (ne parleremo dopo) ma del contenuto vero e proprio, che, se effettivamente riprende i temi generali dell’antologia ovvero amore, morte e robot, non riesce a spingerli ai massimi livelli come invece era accaduto con il Volume 1. Le nuove puntate non sembrano voler alzare ulteriormente l’asticella, ma anzi, adagiarsi su quanto è stato distribuito due anni fa, lanciando dei corti con un evidente mancanza di spessore.
Di conseguenza, l’organicità, nonostante sia stata in parte raggiunta, taglia le ali all’ondata di varietà e punta più alla standardizzazione che alla rivoluzione. Se quindi vi aspettavate di trovarvi dei nuovi cult in formato ridotto, le vostre speranze saranno parzialmente disattese: non tanto perché gli episodi sono pessimi (anzi, ce ne sono alcuni di buon livello), ma perché realizzati ed ideati con un altro spirito. È palese quindi che c’è una rottura forte con il passato e ci aspettiamo che anche il Volume 3 possa cambiare nuovamente le carte in tavola.
Love, Death & Robots – Volume 2: qualità livellata, senza particolari picchi
Veniamo al punto nevralgico ovvero l’estetica generale dei corti e la scrittura. La direzione artistica è di qualità eccellente: i fondali, come anche i personaggi e le animazioni hanno una personalità spiccata e uno stile pregiato e ricercato, riuscendo ad essere sempre originali, con il racconti di nuove ed inedite storie. Dal punto di vista visivo, difficilmente vi annoierete anche perché ne avrete di tutti i gusti: dal noir all’horror, dalla fantascienza più pura ad un futuro prossimo con una spruzzata di verosimiglianza.
Parlando invece dello stile d’animazione vero e proprio, in Love, Death & Robots – Volume 2 predominano i corti in computer grafica simil-realistica, lasciando poco spazio al fascino e al colore del 2D o all’organicità e plasticità della stop-motion. Una scelta che richiama l’idea di organicità di cui vi abbiamo parlato poc’anzi e che non è necessariamente un problema: d’altronde sappiamo bene come la forma è nulla, se alle spalle ha un contenuto inesistente o infinitesimale.
La scrittura, in tal senso, è particolarmente altalenante, paradossalmente ancora più del Volume 1 e si contano effettivamente pochi episodi davvero mirabili e impattanti. Vediamoli velocemente: “Servizio clienti automatico” è un simpatico divertissement alla Black Mirror senza nessuna particolare trovata; “Ghiaccio” per quanto si sforzi a trovare l’elemento sorpresa, ricade in una narrazione classica; “Pop Squad” parte da un setting affascinante popolato da una storia tragica e spettacolare; “Snow nel deserto” ha uno sviluppo action notevole, nonostante il finale lascia l’amaro in bocca; “L’erba alta”, tratto da un racconto del noto Joe R. Lansdale, è un corto horror che gioca d’atmosfera ma che è fin troppo abbozzato; “Era la notte prima di Natale” nella sua brevità trova la sua dimensione perfetta, inaspettato e criptico; “La cabina di sopravvivenza” forse l’episodio più debole della serie, quasi totalmente privo di significato e sembra essere un mero palcoscenico per le sequenze in CGI ed infine “Il gigante affogato” diretto da Tim Miller stesso, una scrittura cupa e crepuscolare, che veicola temi profondi e intensi.
Possiamo quindi notare che non ci sono effettivamente delle puntate inguardabili, ma la qualità è purtroppo livellata con poche eccezioni che davvero lasciano segno e che stupiscono dall’inizio alla fine. Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, quindi, Miller e soci hanno scelto strategicamente di rallentare il ritmo, andando un po’ a tradire l’anima esplosiva e fuori dalle righe che rendeva la realizzazione così tanto effervescente e trascinante.
Love, Death & Robots – Volume 2 è comunque un prodotto valido che si avvale di un team artistico di tutto rispetto. Ciò che però va a mancare, a differenza del Volume 1, è quella spinta emozionale e volutamente esagerata fino alla midollo, capace di regalare scorci pulp e oceani di violenza, senza rinunciare alla poesia. Per quanto inoltre sia mirabile il tentativo di cercare l’organicità dell’intera stagione, tale ricerca di coerenza (che ha spinto anche ad un numero ridotto di puntate), infanga in parte lo spirito variegato e diversificato del progetto iniziale. Un’opera che comunque intrattiene efficacemente, con meno memorabilità e più una standardizzazione qualitativa diffusa.