Love & Anarchy: recensione della serie svedese su Netflix
Una serie con personaggi ben costruiti, che perde purtroppo brillantezza in pesanti dialoghi sull'attualità.
Love & Anarchy (Kärlek & Anarki) è il nome della serie creata da Lisa Langseth, che co-dirige con Alex Haridi, e insieme del romanzo – «la storia di una ragazza che a un certo punto si ribella» – che la protagonista Sofie scrive a vent’anni, prima di consegnarsi tutta alla frenesia e all’alienazione della vita adulta. Consulente di una casa editrice che fatica a ritrovare un’identità in una società tenuta in scacco dalla mutazione digitale, Sofie è una bella donna quarantenne, in carriera e con tanto di prole.
Frustrata sessualmente nonostante il suo matrimonio con un regista pubblicitario non possa dirsi in bianco, viene colta in flagranza di reato masturbatorio da Max, un giovane informatico da cui la separano, se non un paio di decadi, almeno quindici anni. È per lei l’inizio di un sottile gioco di seduzione di cui cade prima vittima e a cui poi, pian piano, sceglie di partecipare per scoprire, infine, che la ragazza ribelle del suo libro giovanile è, in fondo, ancora lì, creatura febbrile e tutt’accesa di desideri, slanci vitali, appetiti ludici ed edonistici più ‘analogici’ che virtuali.
Love & Anarchy: la serie svedese disponibile su Netflix con Ida Engvoll e Björn Mostenm
L’attrice che interpreta Sofie, Ida Engvoll, è brava a comunicare, grazie a una giusta modulazione di chiusure difensive e impetuose aperture alla rabbia (e, dunque, al sentimento), il senso di frustrazione che attanaglia il suo personaggio, quello di una donna volitiva e capace che sembra avere tutto dalla vita ma in questo tutto vede solo ‘il niente’, la monotonia degli ingranaggi tanto professionali quanto sociali che la bloccano nella continua replica della farsa auto rappresentativa.
Accanto a lei, Björn Mostenm, nel ruolo di Max, il ‘ragazzino’ con cui finisce per allacciare una relazione erotico-sentimentale (c’è veramente differenza?), è altrettanto sapiente nel dar vita alla goffaggine pulsionale propria di quel genere di tardo-adolescente che è riuscito a sottrarsi all’ammaestramento e che è ancora in contatto con quel qualcosa di fanciullesco e nel contempo selvaggio che alberga nel nostro corpo meno verbalmente e intellettualmente mediato.
Una serie con personaggi ben costruiti, che perde brillantezza nei dialoghi appesantiti dall’eccesso di ‘confezione’
I comprimari – i vari dipendenti della casa editrice Lund & Lagerstedt, casa editrice attorno a cui gravitano le varie vicende rappresentate – sono anch’essi ben delineati nella loro funzione di appoggio corale al soggetto principale della serie, anche se inclini a trastullarsi in verbose conversazioni su alcuni argomenti tra quelli più d’attualità, finendo per confezionare in modo enciclopedico, e quindi fin troppo didascalico, un ipertesto di suggestioni sconnesse, tra riflessioni sulle responsabilità naziste della Svezia, discussioni sul patriarcato e la persistenza dei retaggi machisti, inevitabili rimuginii sulla difficile convivenza tra passato ‘materico’ e presente smaterializzato.
Se fosse stata sollevata da queste divagazioni utili a restituire la dinamica della relazione di gruppo (le vicende interne alla casa editrice sono tutt’altro che barbose) ma poco integrate alla sostanza drammatica del racconto, Love & Anarchy avrebbe senz’altro guadagnato freschezza e verità. Una verità che, tuttavia, non le manca nel mostrarci il graduale processo di disgelo della protagonista, invischiata nella ripetizione – soprattutto del piacere, però solo quello ‘monadico-masturbatorio’ – ed improvvisamente di nuovo aperta al confronto con l’altro e ad una forma di godimento assunto più soggettivamente, più nella carne di un vero sé e di un abbandono erotico di nuovo appagante.