Ludik: recensione della serie sudafricana Netflix con Arnold Vasloo

Prima volta da dimenticare per la serialità sudafricana originale su Netflix con il fiacco thriller creato da Paul Buys e Annemarie Van Basten, disponibile in piattaforma dal 26 agosto 2022.

Al 26 agosto 2022, data scelta per il rilascio su Netflix di Ludik, tra le nazioni a non avere ancora timbrato il cartellino della serialità originale sulla piattaforma a stelle e strisce (che prima aveva proposto solo la miniserie Sauvage  Beauty) figurava tra le altre il Sudafrica che, invece, sul fronte cinematografico ha già avuto qualche fugace esperienza con film prodotti o ambientati in quell’area geografica come I Am All Girls e L’assedio di Silverton. Ora questa casella è stata riempita proprio dalla serie creata da Paul Buys e Annemarie Van Basten, diretta a quattro mani da Ian Gabriel e Harold Hölscher che si sono divisi in parti uguali i sei episodi da un’ora circa cadauno che la vanno a comporre.  La prima volta in generale non si dovrebbe scordare mai, ma non è purtroppo questo il caso, perché le mancanze strutturali riscontrabili nel corso della visione sono talmente tante da non consentire allo show di restare in piedi e di strappare quantomeno una striminzita sufficienza in pagella. Le tante crepe presenti nell’architettura narrativa e drammaturgica, a cominciare da quelle insanabili provocate dalla scrittura, si estendono al punto tale da provocarne il collasso. Del resto se vengono meno delle basi solide sulle quali potere contare e le colonne portanti si dimostrano incapaci di supportare il peso di un racconto costruito sulla lunga distanza, la percentuale di fallimento non potrà che essere alta.

Ludik: una storia che ha il retrogusto inconfondibile del minestrone riscaldato, nella quale gli autori hanno gettato ingredienti a caso

Ludik cinematographe.it

Provando a scavare più a fondo alla ricerca dei motivi che hanno portato alla rovinosa caduta, i primi sospetti conducono diritti alla sceneggiatura e alla scarsa originalità di una storia che ha il retrogusto inconfondibile del minestrone riscaldato, nella quale gli autori hanno gettato ingredienti a caso nella speranza che l’esito desse loro ragione. I creatori della serie hanno deciso di camminare alla cieca sul terreno minato del thriller e del crime, per narrare le disavventure di un intraprendente magnate del mobile che per salvare il cognato rapito si trova costretto a usare la sua attività segreta di contrabbando di diamanti per trasportare armi attraverso il confine tra il Sudafrica e lo Zimbabwe. Piano che ovviamente se dovesse venire alla luce manderebbe in frantumi l’impero che ha creato, distruggendo anche la sua famiglia. Motivo per cui il protagonista, tale Daan Ludik, farà di tutto per impedire che ciò avvenga e per risolvere la situazione metterà in campo tutte le conoscenze in suo possesso, affidandosi a vecchi collaboratori e stringendo nuove alleanze. Ma come il thriller vecchia scuola ci insegna, i franchi tiratori, di doppiogiochisti, i traditori e i corrotti non mancano mai ed è da quelli che si dovrà difendere in primis il personaggio interpretato da Arnold Vasloo.

La trama di Ludik si sviluppa orizzontalmente senza sussulti, privandosi sin dal pilot della tensione e del contributo dei cliffhanger

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In tal senso, già dalla lettura  plot si avvertiva un’intensa puzza di bruciato, quella che normalmente una volta intercettata segnala il principio di un incendio destinato, se non domato in tempo, a divampare riducendo in cenere tutto ciò che gli capita a tiro. Qui è un cortocircuito nello script ad avere provocato la scintilla fatale. La debolezza del racconto e la pigrizia della scrittura che si palesano sotto più forme diverse rappresentano insieme l’ostacolo insormontabile oltre il quale il risultato finale non riesce ad andare. La trama si sviluppa orizzontalmente senza sussulti, privandosi sin dal pilot del contributo dei cliffhanger, ossia di quei “precipizi” che lasciano in bilico lo spettatore sul ciglio che separa un episodio dal successivo. Nessun rilancio dunque, piuttosto si procede per inerzia, con il personaggio di Ludik che si trova di volta in volta a risolvere situazioni e a occultarne delle altre. Nel mentre dovrà fare i conti anche con questioni familiari, che giocoforza passano in secondo piano perché poco approfondite (il rapporto conflittuale con il padre violento, quello irrisolto con il fratello, la moglie e i figli), a favore dell’odissea criminale. Dinamiche casalinghe che avrebbero meritato più spazio o quantomeno un trattamento paritario.

Arnold Vasloo tenta in tutti i modi di dare spessore e credibilità al suo personaggio, ma più di tanto non può perché mal supportato dallo script e dai colleghi di set

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Così facendo la cattiva gestione della fase creativa ha innescato una reazione a catena, un effetto domino che ha destabilizzato e impoverito la messa in quadro e tutto ciò che raccoglie. Il ritmo blando, l’esasperazione di certe dinamiche meramente accessorie, la scarsa qualità nello sviluppo delle one-lines dei personaggi primari e secondari, oltre all’incapacità di creare tensione per quasi tutta la durata della serie, fatta eccezione per gli ultimi due episodi, impedisce allo spettatore di lasciarsi coinvolgere dalla storia e dalle sue evoluzioni sino a un finale che lascia totalmente indifferenti. A poco serve il contributo davanti la macchina da presa di Vasloo, l’Imhotep dei due capitoli de La mummia, ma anche il Peyton Westlake del secondo e terzo capitolo della trilogia di Darkman, dove ha ereditato il ruolo da Liam Neeson. Dal canto suo tenta in tutti i modi di dare spessore e credibilità alla figura che gli hanno affidato, ma più di tanto non può perché poco supportato dallo script e dai colleghi di un set dove si fa davvero fatica a trovare qualcuno in grado di recitare in maniera dignitosa.   

Regia - 2
Sceneggiatura - 1
Ftografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.6

Tags: Netflix