Made in Italy: recensione del pilot della serie TV Amazon
La première nella giornata conclusiva della seconda edizione di FeST - Il Festival delle Serie Tv, alla presenza del cast al completo, dei registi e dei responsabili della produzione (Camilla Nesbitt per Taodue), ci ha permesso di vedere in anteprima assoluta, a meno di 24 ore dal rilascio su Amazon Prime Video nella serata del 23 Settembre, il primo episodio di Made in Italy.
In arrivo su Amazon Prime Video nella serata del 23 Settembre, Made in Italy è una serie TV battente bandiera tricolore nata in casa Mediaset, ma che in attesa della messa in onda in chiaro nella primavera del 2020, ha avuto il suo battesimo nella giornata conclusiva della seconda edizione di FeST – Il Festival delle Serie Tv, alla presenza del cast al gran completo, dei registi e dei responsabili della produzione (Camilla Nesbitt per Taodue). Un battesimo che è avvenuto sullo schermo allestito nella Triennale di Milano, laddove la serie diretta a quatto mani da Ago Panini e Luca Lucini ha tra le altre ambientato una delle scene più significative della stagione, quella della sfilata di Krizia dove la giovane protagonista riuscirà in maniera pirotecnica a intrufolarsi eludendo i controlli della security.
Made in Italy: period comedy a tutti gli effetti
Prima di avventurarci nell’episodio inaugurale è necessario fare però un piccolo passo indietro per ricordare in che mondo il progetto in questione ci sta per immergere. Made in Italy racconta la nascita della grande moda italiana nella Milano degli anni Settanta attraverso la storia di Irene, una giovane giornalista destinata ad arrivare lontano. Le lancette dell’orologio vengono per l’occasione riavvolte per dare forma e sostanza a quello che tecnicamente è un period comedy a tutti gli effetti, che teletrasporta lo spettatore di turno al seguito di una studentessa di storia dell’Arte di origini meridionali che per mantenersi i corsi universitari si trova per uno scherzo del destino catapultata senza se e senza ma nell’affascinante mondo dell’alta moda, spiata inizialmente dal buco della serratura di un’importante rivista del settore, la Appeal.
Naturalmente alla puntata pilota spetta il compito di introdurci alla galleria dei personaggi, calandoci di conseguenza nel contesto spazio-temporale nel quale questi si dovranno muovere. Siamo di fatto alle presentazioni ufficiali di una serie di figure fittizie e altre realmente esistite o liberamente ispirate che ci accompagneranno nel corso delle puntate, in primis quella di Irene, qui interpretata dall’esordiente Greta Ferro. Le sue (di)avventure iniziali tra prestigiose atelier e servizi fotografici al seguito della scorbutica capo servizio Pasini (Margherita Buy) animeranno un pilota che non poteva non aprirsi con un mash up di materiali d’archivio raffiguranti la Milano dell’epoca.
Questo perché sin dai primissimi minuti si intuisce chiaramente che lo sviluppo della line up della protagonista andrà di pari passo, spesso intersecandosi, con gli scenari e gli eventi storici più significativi dei Seventies, decennio di veri e propri tumulti: dal divorzio all’emancipazione della donna, dalle battaglie sociali alle proteste giovanili e politiche, dalle canzoni al terrorismo, passando per l’amore libero, la violenza e la nascita delle radio private. Il tutto farà da sfondo o da guida agli snodi della vita privata e professionale di Irene, attraverso la quale la serie prova a riflettere anche la storia di una generazione che ha vissuto conflitti e contraddizioni, fermenti e cambiamenti irripetibili.
Made in Italy: cura nei dettagli della messa in scena vanno di pari passo con carenza di originalità nella scrittura
A un primo sguardo l’episodio inaugurale di Made in Italy mette in vetrina tanto i suoi punti di forza quanto i potenziali talloni d’Achille. Da una parte la cura e l’attenzione nella messa in scena, soprattutto sul versante dei costumi e delle scenografie, è più che evidente e riesce a restituire le atmosfere, gli odori e i colori dell’epoca. Qui si materializzano scene che rendono credibile l’impianto generale del plot, quest’ultimo costruito per provare a rompere gli schemi che mostrano nella stragrande maggioranza dei casi una visione stereotipata e frivola del mondo della moda.
Il tentativo semmai è quello di restituire una dimensione di autenticità, bellezza e serietà legata all’essenza di un mestiere che tante soddisfazioni ha e continua a dare al nostro Paese. Dall’altra parte, invece, la scrittura mostra già le prime avvisaglie di una costruzione narrativa orizzontale che richiama, soprattutto in termini di disegno dei personaggi, soluzioni già viste e qui rielaborate. Nell’assistere alle prime schermaglie e al rapporto tra la Pasini e Irene non può non tornare alla mente, ovviamente con tutte le distanze del caso, lo scontro/incontro tra le protagoniste de Il Diavolo veste Prada. Il che abbassa l’asticella dell’originalità e rende alcuni passi della narrazione più o meno prevedibili. Ma saranno gli episodi successivi a confermarci oppure no queste prime impressioni.