Màkari: recensione finale della fiction Rai con Claudio Gioè
Su Rai1 si è conclusa Màkari, la fiction con Claudio Gioè che ha fatto delle ambientazioni il suo punto di forza.
È giunta a conclusione Màkari, la nuova fiction Rai tratta dai romanzi di Gaetano Savatteri. Dopo i primi due episodi (qui la nostra recensione), in cui gli autori hanno delineato personaggi e ambientazioni, la serie ha trovato il ritmo giusto e consolidato una formula, a nostro parere, vincente. Perché nel prodotto troviamo la volontà di uscire dalla comfort zone della fiction tradizionale, e così cercare tematiche ed espedienti registici del tutto nuovi. Detto questo, Màkari non è esente da errori e scivoloni melodrammatici, questo è certo, eppure nella sua semplicità riesce a farsi guardare con trasporto. Il merito di ciò va al protagonista, al Saverio Lamanna interpretato da Claudio Gioè. La serie poggia tutta sulle spalle dell’attore, in grado di infondere al suo personaggio carisma e ironia. Come dicevamo, il prodotto casca in fallo in diversi momenti, ma questo può esser dipeso in parte dal non voler abbandonare del tutto alcuni costrutti del format-fiction. Fattore che potrebbe dipendere dal voler accontentare il pubblico già consolidato. Al di là di questo, la serie diretta da Michele Soavi ha grandi punti di forza, a partire dal suo protagonista fino ad arrivare a una narrazione, in qualche modo, moderna.
Màkari: come la serie si è emancipata dai vari Montalbano
Fin dal suo esordio la serie è stata accostata a Montalbano. I due prodotti condividono non pochi punti in comune, eppure Màkari sembra essersene emancipata fin dalle prime battute. In entrambe, la culla del racconto è la Sicilia, se non il racconto stesso. Gli sceneggiatori, quanto Savatteri in principio, sono voluti andare oltre, e spezzare così lo stereotipo televisivo di un’isola imbrigliata alle catene della mafia. Polizieschi, thriller e commedie satiriche hanno sempre mostrato solo un lato della medaglia, quella più sporca ed erosa. Saverio Lamanna, la nuova signora Fletcher siciliana, ci porta per mano verso il basso, e non più verso l’alto, ad incontrare il “piccolo popolo” e la nuda terra della realtà quotidiana. La mafia viene accennata, presa in considerazione durante le indagini dello scrittore, ma non è mai il fulcro del racconto. È come dice Lamanna al ragazzo dei “No Mafia”: “non è sempre la mafia, ogni tanto bisogna pensare in piccolo”.
Ed è proprio quello che fa Màkari, mostrandoci non cattivi assetati di sangue, ma persone normali con problemi, il più delle volte, legati alla crisi economica e al divario tra nord e sud. Il nemico, se così vogliamo chiamarlo, è la stretta morsa del dio denaro che, come un lupo famelico, miete vittime nel pollaio lasciato incustodito. È la metafora di un’Italia che stenta ripartire, ancorata a radici marce e le cui foglie cadono copiose. È dal basso che arriva la soluzione, dal piccolo che si deve reinventare per sopravvivere. Màkari è la Sicilia che non si ferma, anzi, si mostra in tutta la sua bellezza; dalle spiagge cristalline alle costiere mozzafiato.
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La commedia prima del giallo, l’umanità prima della fatiscenza
Màkari, una serie paesaggio prima che un giallo. La calda estate di Saverio fa da cornice al suo viaggio, in una Sicilia che risplende in tutta la sua bellezza. Ma dove c’è luce ci sono anche le ombre. Ombre imponenti di un disagio sociale ed economico. Lamanna è l’investigatore del popolo, che sembra vedere in lui un sindaco ufficioso. L’ex portavoce del Ministro dell’interno è però al lastrico, dopo aver perso il lavoro. Tra piccoli espedienti e la riscoperta passione per la scrittura riesce a sbancare il lunario. Ed è proprio questa la caratteristica vincente del personaggio, il suo muoversi allo stesso livello degli altri. Certo, è un uomo acculturato con un fine intuito, ma alla fine della giornata è uno dei tanti cittadini di Macari. Claudio Gioè è il nuovo “gufo del malaugurio”, un po’ come Don Matteo o il Detective Conan dei cartoni animati; dove passa lui ci scappa il morto. La scarogna arriva anche ai familiari, come nel terzo episodio, dove la morte del cugino è collegata ad una serie di scommesse clandestine.
Altro fattore, che potrebbe far storcere il naso, è la semplicità con cui i colpevoli si lascino andare a grandi rivelazioni davanti a Lamanna, come se lo scrittore avesse il potere di ammaliare i suoi interlocutori. Scherzi a parte, l’indagine, come il thriller, è solo un pretesto, perché la vera anima di Màkari è la commedia.
Màkari, una fiction frizzante di cui si aspetta una seconda stagione
Ironia, sarcasmo e momenti di ilarità. Piccionello (Domenico Centamore) è l’uomo delle frasi fatte, il classico uomo autoctono a cui viene affidato il ruolo della stravaganza. Infradito e pantaloncini, l’outfit standard del Piccionello, un personaggio che fa da controparte al protagonista un po’ più serio; la base della comicità. I siparietti tra i due funzionano, sono i Sherlock Holmes e Watson siciliani e impacciati. A rimetterci in questo duo è la Suleima di Ester Pantano, a cui forse si poteva dare più spessore, una storyline più complessa e interessante. Le premesse c’erano tutte, ma alla fine viene relegata a mero supporto dell’evoluzione del personaggio. L’attrice è capace, ma la sceneggiatura sembra frenarla ogni qualvolta prenda il sopravvento su Gioè. Suleima è personaggio interessante, e si spera che in futuro possa trovare più spazio nella serie.
Al netto dei suoi difetti, Màkari è comunque una fiction interessante, fresca e frizzante come i drink serviti sui tavoli roventi dell’estate. In chiusura la serie lascia spazio ad una seconda stagione che, se mai si dovesse fare, potrebbe correggere quei piccoli errori e puntare sui suoi punti di forza. Perché la fiction ne ha molti, alcuni rimasti latenti, altri ben elaborati. Quindi non si può far altro che aspettare le nuove indagini di quel “camurriusu” di Saverio Lamanna.