Meglio di noi: recensione della serie Netflix
Recensione della prima serie russa a debuttare su Netflix: è Meglio di noi, show che ragiona sul confine che separa umanità e robotica.
Disponibile su Netflix dallo scorso 16 agosto, Meglio di noi è la prima serie russa a essere presentata con l’etichetta di Netflix Original. Mentre la prima stagione è già online sulla piattaforma streaming, la seconda ancora non è disponibile per gli abbonati italiani, nonostante sia già stata distribuita in madre patria a inizio 2019.
Lo scenario raccontato da Meglio di noi è quello di un futuro molto prossimo: nel 2029 umani e robot androidi vivono fianco a fianco, condividendo tutti gli spazi e lavorando insieme per continuare a far progredire questi sviluppi tecnologici e sociali. L’ingresso nel mondo comune dei robot ha alimentato anche il mercato nero di “bambole” dall’aspetto bellissimo pronte per essere messe a disposizione del miglior offerente. Una di queste però si scopre essere un androide dal passato oscuro: sfuggita alle grinfie del suo nuovo padrone, Arisa incontra Sonya e, tramite lei, il fratello adolescente Yegor e il padre Georgy. Con loro, diventati gli unici utenti autorizzati a “utilizzarla”, Arisa scopre un mondo di emozioni che fino a quel momento si pensava fosse precluso alla popolazione di automi. Intorno a questo nucleo familiare sui generis ruotano diverse vicende losche che legano la ricerca scientifica al contrabbando di vite (umane e robotiche) e a dilemmi etici su progresso e identità individuale.
Meglio di noi ragiona sui confini morali che separano umanità e robotica
Gli otto episodi della prima stagione di Meglio di noi cercano di mettere insieme un’ambientazione futurista con un intreccio a metà tra il racconto poliziesco e la scoperta dell’interiorità drammatica, su uno sfondo di una Russia contemporanea che in realtà rimane sempre difficilmente riconoscibile, annullando di fatto ogni possibilità di sfruttare in maniera organica questo scenario dalle ricche reminiscenze sovietiche. In un momento in cui sul panorama internazionale la cultura russa gode di molte attenzioni (da Chernobyl a Stranger Things giusto per citare un paio di esempi), Meglio di noi si sottrae alla possibilità di cavalcare quest’onda fino in fondo.
La commistione dei diversi linguaggi (drammatico, noir, fantascientifico) non risulta sempre ben riuscita e a farne le spese è soprattutto il ritmo della narrazione che si trova a dover far collimare troppe voci discordanti. Soprattutto dopo i primi momenti concitati ricchi di scoperte e colpi di scena, il racconto si fa più blando, concentrandosi sulla sfera più emotiva e facendosi trasportare da un ritmo più rilassato. Il risultato finale di Meglio di noi è un collage composito di elementi diversi non troppo amalgamati tra loro, pur avvalendosi di un pretesto narrativo interessante e di alcuni spunti di riflessione non così scontati.
I protagonisti di Meglio di noi si prestano all’interpretazione di personaggi non sempre riusciti fino in fondo, ma che si rendono portavoce eccellenti del significato che la serie vuole portare avanti. Il discorso etico e ontologico della condivisione di spazi e ruoli tra umani e robot viene affidato agli attori principali, in particolare al triangolo formato da Arisa, Sonya e Georgy, interpretati rispettivamente da Paulina Andreeva (già volto di numerose serie tv russe), Vita Kornienko e Kirill Kyaro. La recitazione si avvale di buoni livelli di qualità e intensità, dando vita a interessanti riflessioni intorno al confine tra dimensione umana e robotica, viste le fitte dimostrazioni di ambiguità ontologica che si mettono in scena, già all’interno di questo rinnovato nucleo familiare. Così, tra robot e umanità di vario tipo, tra padri e figli, tra il concetto di famiglia e quello di totale indipendenza personale, si porta avanti anche un sottile confronto tra uomini e donne che trascende la natura dell’essere senziente, ma che mette in discussione la divisione imposta dal mondo lavorativo e non solo contemporaneo.