Mi hanno sputato nel milkshake: recensione del pilot
La recensione del primo episodio di Mi hanno sputato nel milkshake la serie di Carolina Cavalli e Beppe Tufarulo, in onda su Rai 3 .
“Questo dovrebbe essere il momento più bello della mia vita, prima c’era l’acne dopo ci sono i figli, e io non riesco ad essere felice neanche adesso”; si apre così Mi hanno sputato nel milkshake, il pilot scritto da Carolina Cavalli con la regia della stessa e di Beppe Tufarulo che dal 27 dicembre 2020 è disponibile su RaiPlay e contemporaneamente va in onda, in prima visione, su Rai 3 in seconda serata. Il primo episodio, vincitore del Premio Solinas EXPERIMENTA SERIE, in collaborazione con Rai Fiction – nato dal concorso che dà accesso a un percorso di alta formazione per la selezione e lo sviluppo di progetti innovativi di racconto seriale, finalizzati alla realizzazione di un pilota di serie -, racconta in modo ironico e contemporaneo la crisi dei 25 anni, quando si ha l’impressione di essere sospesi e allo stesso tempo in ritardo su tutto, anche se non si sa per cosa. La protagonista che pronuncia quella frase disperata è Siri (Aurora Ruffino), ragazza di ventisette anni che da una parte tenta di uscire da quel brutto periodo che colpisce tutti prima o poi ma dall’all’altra parte si abbarbica a questa stasi. Nessuno sembra aiutarla, né gli amici, né il fidanzato, diventato subito ex, né la psicologa. Nessuno. Sembra che Siri dovrà cavarsela proprio da sola o come spesso accade lasciarsi inondare da questo periodo per poi uscirne.
Mi hanno sputato nel milkshake: un mix di dramma e commedia
Mi hanno sputato nel milkshake è un mix di dramma e commedia tutto al femminile in cui Siri cerca soluzioni per adeguare se stessa alla realtà, spesso dura, difficile da sopportare; prova a piegarsi a tutto ma tenta anche di ribellarsi alla sua stessa indole di donna spaesata che si sente spesso inadeguata. Si dibatte nella vita come fanno gli altri personaggi, la coinquilina Tea (Francesca Agostini) – che “odia l’intimità quando è vestita”, testimonianza di tutti quelli che non vogliono legami –, l’amica Momo (Sara Mondello), l’ex Seba (Dario Aita), le nuove conoscenze, come ad esempio Dj Stomale (Matteo Olivetti). Rientrano in questa grammatica del male di vivere gli adulti, il suo Capo (Giampiero Judica), la psicologa in perenne conflitto con la figlia (Valentina Carnelutti, in scena con sua figlia Nila Prisco). Ambientato nel 2010 a Milano, è uno spaccato della generazione cresciuta negli anni ’90, è una serie che sa di quegli anni lì, di tutti quei giovani che vivono in una metropoli, popolata da donne e uomini quasi adulti, che quasi vivono e cercano di risolvere quello strano fastidio che li accompagna in ogni momento. Un sentire di fondo che non lascia mai in pace, che si tenta di silenziare vivendo di ossessioni, sintomo di un’ansia più grande e generalizzata.
“Stare da sola perché non mi sopporta più nessuno”, almeno tutti, anche solo una volta, si sono detti questo mantra, un po’ perché a molti piace piangersi addosso, un po’ perché quando si è giovani, quando si è donne capita di non sentirsi all’altezza – e questo diventa uno dei “lavori” da fare per crescere – e di sentirsi sbagliate. Per questo il primo passo per smuovere un’acqua fin troppo stagnante è lasciare il fidanzato, uno stanco regista, stufo di ricevere complimenti sui suoi lavori e anche del suo stesso lavoro visto che vuole abbandonare la sala prima di vedere il proprio film. “Un silenzio apocalittico, un vuoto pneumatico”, si riempie la bocca di frasi senza senso, finte intellettuali ma che in realtà dimostrano un vuoto ancora più profondo e esistenziale. Lascia Seba nella speranza che lui la trattenga ma lui candidamente le dice “ok, mi hai convinto su tutta la linea. […] Ok e grazie.”.
Mi hanno sputato nel milkshake: un racconto di infelicità e tristezza
“Tu sei felice Tea?”, Siri pone queste domande agli altri, agli amici, alla coinquilina, forse per trovare il coraggio di porre gli stessi interrogativi a sé stessa e forse perché quando si sa di essere infelici si ha solo il bisogno di percepire che gli altri provano lo stesso malessere. Siri è strana, paradossale, non sapeva se andare ad Ibiza o a Lourdes e ora si sente proprio come quella volta e dice: “ho bisogno di qualcosa ma non so di cosa”. Mi hanno sputato nel milkshake racconta con ironia la difficoltà che si ha nel crescere, nel trovare la propria strada mentre si è nel limbo tra i vent’anni e i trenta, tra “l’acne e i figli”, quando ci si sente in colpa perché grandi cose si vorrebbero fare ma non si sa di preciso quali. Il perno di tutto l’episodio è Siri, è lei che manifesta questo sentimento, che guarda immobile, con gli occhi pieni di lacrime o la bocca piegata all’ingiù, il mondo, disperata per aver perso il suo unico amico, quello che l’amava nonostante tutto, il cane Canotto.
Il pilota diventa una critica alla società, un’analisi dei problemi, del disagio (la tristezza, la depressione, l’ansia sono elementi con cui, nel corso della vita, si fa i conti), delle difficoltà dell’essere giovani oggi: lei è un’illustratrice, si fa convincere dal datore di lavoro a fare gli straordinari senza essere pagata, e nel momento in cui decide di parlargli cade nel suo gioco. Accetta l’ennesimo lavoro non remunerato, ha troppa paura che qualcun altro possa prendere il suo posto. L’episodio racconta anche cosa voglia dire essere donna, di come si debbano accettare delle piccole o grandi molestie (lei chiama questo “un piccolo problema” e un flashback ci mostra un episodio: un collega, incapace di resistere, tiene una mano sul suo seno e lei lo scusa dicendo che “in realtà è un bravo ragazzo”), si debba accettare di essere pagata di meno di un uomo (“quindi gli uomini hanno degli stipendi più alti delle donne”). O forse no, Siri dice che dove lavora lei, non importa se si è uomini o donne, “tutti vengono pagati di merda”.
Seba: “Tu non fai altro che piangere e mangiare granola. Io li conosco tuoi problemi, li capisco, li ho ascoltati e sono d’accordo su tutta la linea però tu devi smetterla di piangere e di mangiare granola “
Siri ha una infelicità endemica, eppure riesce ad essere divertente, si autoconvince della bontà degli altri ma sa benissimo che tutti hanno i loro pensieri e non hanno tempo per lei. L’amica Tea ripetutamente le ricorda che è sua ospite, le dice che a casa propria può fare ciò che vuole, non deve chiedere a lei il permesso per fare nulla. Prende un gatto nonostante sappia che Siri ogni volta che si parla di animali scoppia a piangere per Canotto, organizza una festa per festeggiare la partenza di Siri ma in realtà nessuna delle due vuole staccarsi dall’altra.
Tutta colpa di un barista
Secondo me oggi il barista ha sputato nel mio milkshake
In Mi hanno sputato nel milkshake, tutto cambia quando Siri si convince che il barista della palestra le ha sputato nel milkshake e, da quel momento, diventa un’ossessione. Forse è solo colpa dello stress. Eppure diventa un chiodo fisso. “Ci sono baristi buoni e ci sono baristi cattivi”, si ripete queste parole Siri mentre diventa un’illustrazione. Si dice questo per calmarsi e per sopravvivere alle angosce e ammette alla fine che è più facile incontrare baristi cattivi nella vita perché questa è la natura umana.
Per rilassarsi, per superare le crisi si fa “una cannetta al giorno”, una piccola, e a questa affermazione la psicologa – da cui va per schiarirsi le idee -, le risponde che dopo i diciotto bisogna prendere gli psicofarmaci, “come fanno tutti”. “Cannetta”, più venti gocce di psicofarmaci la mattina, venti la sera, anche venti al pomeriggio e poi basta con tutte queste domande. Questa è la soluzione della psicologa per passare le giornate. Siri si chiede come fare, cosa fare, chi essere in un’atmosfera informale, esasperata e naïf, di fronte ad una donna un po’ fricchettona che banalizza e minimizza ciò che la paziente le sta raccontando. Al centro dello studio c’è Siri che parla di sé, dei suoi pensieri, mentre la dottoressa le siede davanti a gambe incrociate, dietro alla giovane donna c’è uno specchio che riflette la sua immagine. Siri ha molto ancora da raccontare, molti lati da tirare fuori.
L’incontro casuale che può salvare
La psicologa: “Basta, si svegli, faccia lei”
Seba: “La magnitudo dei tuoi problemi ha rotto il cazzo ad un’intera generazione. Mi sembra di stare con l’ONU, tu devi prendere un provvedimento per la tua vita”
Tutti la invitano a riprendersi, a svegliarsi, a salvarsi da questa coltre di noia e paralisi, ma lei non riesce a farlo. Riesce a respirare di nuovo, anche se solo per un solo istante, quando incontra per caso un ragazzo a cui tutto va storto come a lei, che non vuole parlare di certe cose perché è faticoso toccare certi argomenti. I due vanno a bere qualcosa insieme, a lei viene da piangere. La crisi. Le lacrime. “Non sono bravo in queste cose” ma è il più bravo di tutti perché la abbraccia. Un abbraccio che lenisce le ferite, che calma l’ansia, che tranquillizza, che non fa sentire soli.
Da quel momento in poi ogni cosa potrebbe cambiare, potrebbe farsi più sopportabile.
Un primo episodio che colpisce per i temi e la recitazione
Mi hanno sputato nel milkshake è un pilot che fa sorridere, che fa sentire meno soli con i suoi ventisei minuti di ironia, poesia malinconica, esasperazione e divertimento, riesce a raccontare uno spaccato di cosa voglia dire sentirsi soli, tristi, di quel sentimento di inadeguatezza che spesso coglie. Il primo episodio mescola la tradizione americana del cinema mumblecore indipendente con elementi assurdi e pop che citano le sitcom anni ’90, si concentra su un personaggio femminile interessante, sfaccettato che si mostra in tutta la sua fragilità, che rompe il cliché della perfezione, dell’equilibrio a tutti i costi, dell’individualismo stanco, infarcito da una cultura che distrugge tutto ciò che tocca.
Si spera che questo primo episodio, scritto bene, ben diretto e ben recitato, colpisca il pubblico in modo che esca anche il resto della serie perché Mi hanno sputato nel milkshake è una bella opportunità per vedere qualcosa di nuovo, di diverso dal solito, che strizza l’occhio a mari che in Italia sono poco navigati.