Mindhunter – stagione 2: recensione della serie TV Netflix
Ritornano le ricerche e le indagini degli agenti Ford e Tench in Mindhunter 2, l'attesissima serie tv crime ideata da David Fincher
I fan più sfegatati del genere crime in versione seriale e del regista David Fincher hanno dovuto attendere quasi due lunghissimi anni per immergersi di nuovo nell’angosciante e sconvolgente mondo di Mindhunter, la serie TV Netflix tornata online dal 16 agosto. La seconda stagione dello show ideato da Joe Penhall e prodotto dal regista di Seven e Gone Girl – L’amore bugiardo insieme a Charlize Theron, era uno dei titoli più attesi sulla piattaforma di streaming nel 2019 e la grande aspettativa non è stata per niente delusa. Le nove puntate di Mindhunter 2 confermano la grandezza di questa serie TV ormai divenuta di culto, grazie all’unione di genere investigativo e quello drammatico, al piglio da analisi sociologica raffinata, dialoghi serrati perfetti e ricostruzioni storiche ineccepibili. Insomma una vera e propria goduria.
Mindhunter: la seconda stagione si svolge tra Quantico e Atlanta
In questa season 2 ritroviamo la squadra del reparto scienze comportamentali dell’FBI ritornare al lavoro per raccogliere nuove interviste a killer seriali, supportati da nuovi fondi a favore del progetto all’avanguardia che applica la scienza ai crimini seriali. Gli agenti Holden Ford (Jonathan Groff) e Bill Tench (Holt McCallany) dopo aver intervistato il killer denominato “il figlio di Sam” e nientepopodimeno che Charles Manson, vengono chiamati ad Atlanta per partecipare alla task force che indaga su una terribile serie di scomparse e omicidi di giovanissimi afroamericani. Questi fatti sconvolsero la città della Georgia, tra il 1979 e il 1981, anni in cui Atlanta era governata da afroamericani (sindaco e capo della sicurezza). Il caso Atlanta Child Murder vede impegnati i due agenti in modo operativo sul campo, in una caccia all’uomo che cercherà di unire le teorie psicologiche alla pratica e delle indagini condotte dalla polizia locale. Questo darà vita ad un conflitto: teorie scientifiche comportamentaliste da un lato, oggettività e burocrazia, istinto e ragione, a cui si mischia l’influenza del potere e della politica.
Mindhunter: i punti di forza sono un copione esemplare e l’attenzione ai dettagli
La sottrazione e il contenimento sono i sigilli di qualità di questa serie TV, caratteristica che spesso manca negli show mainstream che prediligono l’azione e il ritmo, alla profondità dei personaggi e dei dialoghi. Nulla è mai esagerato, Fincher&Co stanno sempre un passo indietro, sacrificando la spettacolarità e l’entusiasmo (che si raggiunge ugualmente ma non per l’impennata del climax), perché qui non interessa l’escalation a tutti i costi. È piuttosto il faticoso lavoro di mantenere la tensione costante, posizionando le giuste inquadrature, parole e sguardi degli interpreti, al momento giusto, concedendosi pochissimi momenti di leggerezza, la chiave di una serie che immerge gli spettatori nell’abisso delle perversioni della mente umana. Mindhunter raggiunge vette altissime, regalando uno spettacolo di cui sarà difficile non godere in un binge watching serrato.
Anche in questa seconda stagione le linee narrative investigative e quelle dedicate alle vicende personali dei protagonisti sono unite alla perfezione (Holden e le crisi di panico, Tench e il figlio adottivo coinvolto in una brutta storia, la Dott.ssa Milford alla ricerca di una relazione sana), regalando solo alcuni momenti di leggerezza come durante le sequenze che descrivono la routine e la fatica provata dai due agenti protagonisti (per non parlare la meravigliosa sequenza dedicata agli appostamenti nella 2X08) nel loro lavoro ad Atlanta.
Anche le ricostruzioni storiche come sempre sono perfette: Fincher (che ha diretto i primi 3 episodi) aveva già mostrato la cura nel dettaglio in Zodiac e nella prima stagione di Mindhunter, superandosi ancor di più in questa seconda stagione recuperando pezzi di design, accessori che aggiungono valore, senza parlare del make up che riesce ad eguagliare i volti dei serial killer reali, da Charles Manson, Wayne Williams a il figlio di Sam.
Mindhunter 2 affronta in modo magistrale due dei temi più battuti dalla Hollywood contemporanea
Al centro di questa seconda stagione ci sono due dei temi che la cinematografia e la serialità globale, prima su tutti quella hollywoodiana, stanno affrontando costantemente. Le tematiche di razzismo e omosessualità, intese come superamento dei limiti imposti dal contesto in cui si vive, vengono raccontate in modo intelligente e meno stereotipato del solito. Il caso dei bambini di colore uccisi ad Atlanta mette in campo la contrapposizione tra i bianchi e gli afroamericani, e mostra come spesso, o meglio costantemente nella società, il razzismo venga usato prima di tutto a scopi politici: vuoi da parte di un sindaco e il capo della sicurezza che non vogliono assolutamente divulgare l’ipotesi che possa esserci un serial killer di colore, impauriti dalla perdita dei voti qualora il profilo disegnato non corrisponda al vero, vuoi da parte delle attiviste afroamericane, le mamme che hanno perso i loro bambini, che vogliono giustizia e che i casi dei loro bambini vengano trattati allo stesso modo di altri, ma che scavando nella loro storia vedono come unico male i bianchi del KKK come unico possibile nemico da combattere.
Attraverso il personaggio della Dottoressa Debbie invece si parla di omosessualità non in termini di un personaggio offeso, ma di essere umano alla ricerca di una storia d’amore autentica. In fondo come lo stesso personaggio dice per quattro anni ha avuto una relazione con una donna più grande di lei e allo scoperto: porre l’accento su un bisogno umano, la ricerca di condivisione e affetto, che forse tutti cercano in questa esistenza, a prescindere da qualsiasi orientamento sessuale, ma soprattutto prima degli schemi imposti da una società, quella di fine anni ’70, è un messaggio bellissimo.
Ultimo anello di questo cerchio perfetto sono le interpretazioni: i protagonisti e i comprimari di Mindhunter 2 elevano tutti il lavoro di scrittura e messa in scena. Chapeau: questo show è già una pietra miliare della storia della TV… in streaming.