Monterossi – La serie: recensione della serie TV su Prime Video

Milano, Bob Dylan, e qualche bel delitto che ci sta sempre bene. Ecco a voi Monterossi - La serie, diretta da Roan Johnson e interpretata, tra gli altri, da Fabrizio Bentivoglio. Dal 17 gennaio 2022 in esclusiva su Prime Video.

Non possiamo farne a meno, vero? L’irrimediabile attrazione dell’animo umano per la zona d’ombra dello spirito, l’appetito crime insomma, ha colpito ancora. Monterossi – La serie, 6 puntate da 50 minuti l’una in esclusiva su Prime Video dal 17 gennaio 2022, adatta per il piccolo schermo le vicende dell’improbabile e omonimo investigatore televisivo Carlo Monterossi, partorito dall’immaginazione e dalla penna di Alessandro Robecchi. Roan Johnson (Piuma, I Delitti del BarLume) dirige  ammucchiando un bel cast che comprende tra gli altri Fabrizio Bentivoglio, Carla Signoris, Donatella Finocchiaro, Martina Sammarco e Diego Ribon.

La cornice è quella del thriller investigativo. Contaminazioni da formula, turbolenze sentimental-esistenziali. Il cuore del racconto batte al ritmo della personalità stropicciata ma molto arguta dello stanco protagonista. Stanchezza più mentale che fisica. In effetti, l’indagine di un carattere come quello dell’eroe improbabile al centro di tutto, molto spesso prende il sopravvento sulla dinamica di genere. L’indagine punto e a capo. Questo fatto, succede spesso, è insieme una benedizione e una trappola. Vale così anche per per Monterossi – La serie. Per il momento basti dire che il lavoro sull’atmosfera della storia è interessante, molto. Il pendolo oscilla, Milano e Bob Dylan. E viceversa.

Monterossi – La serie: ma cosa c’entra Bob Dylan in tutta questa storia?

Monterossi cinematographe.it

Alessandro Robecchi è autore televisivo, giornalista e scrittore. Di romanzi a Monterossi ne ha dedicati otto, editi in Italia da Sellerio e usciti tra il 2014 e il 2021. Le sei puntate di Monterossi – La serie ne “catturano” un paio, tre puntate a testa. Sarebbero Questa non è una canzone d’amore (2014), e Di rabbia e di vento (2016). Sopra ogni cosa, l’improbabile capacità del protagonista di trovarsi sempre al centro di casini criminali da cui farebbe meglio a stare alla larga. È chiaro che c’è qualcosa che non va nella vita di quest’uomo. Altrimenti perché affannarsi a correre dietro alla morte. Chi è, dunque, Carlo Monterossi? E soprattutto, cosa c’entra Bob Dylan in tutta questa storia?

C’entra, c’entra. Carlo Monterossi (Fabrizio Bentivoglio) è un autore televisivo in là con gli anni (sorry). Di un certo genio, va detto, dissipato per lo più in robaccia trash che sarebbe meglio andare a nascondersi. La ciliegina su questa discutibile torta è una cosa chiamata  Crazy Love, parodia catodica dei sentimenti condotta dalla spregiudicata Flora De Pisis (Carla Signoris). Monterossi ha ovviamente un’amore perduto, Donatella Finocchiaro, che torna nella sua vita ma non si capisce bene a quale distanza. Monterossi ha, più di ogni altra cosa, Bob Dylan.

Arrivato a un pit stop della vita in cui vale la pena cominciare a fare qualche bilancio, il protagonista si ritrova infelice ma di successo. Con ironia, ovvio. Bob Dylan è l’amico invisibile e la scialuppa di salvataggio che illumina il discorso e dà un senso alle cose. Poeta, icona pop, menestrello e “Giuda”; il carattere contemporaneamente dentro e fuori dai giochi, non solo l’arte, di questo inimitabile giocoliere della parola (scritta e cantata), aiuta il detective per caso a misurare la profondità del suo disagio, la possibilità di una rinascita e, in fondo, tutto quanto.

Bob Dylan - cinematographe.it

A Carlo Monterossi basta un incontro fortuito con la morte, schivata per un soffio grazie al caso e a un bicchiere di cristallo, per decidere che è arrivato il momento di dare una bella spolveratina alla sua vita. L’indagine è questione di vita e di morte, letteralmente. Si parla di pochi provvidenziali centimetri, altrimenti addio Monterossi – La serie. Ma anche di sopravvivenza, da intendersi in un senso, diciamo così, più esistenziale. Con l’ausilio dei collaboratori Martina Sammarco e Luca Nucera, e degli amici-nemici nelle forze dell’ordine Diego Ribon e Marina Occhionero.

Milano, il carisma di Fabrizio Bentivoglio e quello che servirebbe alla serie

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Elegante, periferica, ultra moderna e popolare, Milano è la casa dei misteri e degli struggimenti. Un contenitore di immagini, simboli e cruda realtà. Disegna caratteri, percorsi e stili per tutti i personaggi di Monterossi – La Serie. Carlo Monterossi è un’anima al bivio in cerca di un po’ di rigore e di pulizia, sentimentale e pratica. Milano è lo specchio delle sue paure, un posto in cui anche la più infima emozione è misurata attraverso la lente deformante di un prezzo e un’offerta. Escort e killer professionisti; nulla, neanche l’amore e o la morte, sfugge alle necessità del grande business. Ma Milano è anche cosmopolitismo, capacità di accettazione, un microcosmo di accenti, lingue e culture perennemente oscillanti tra legalità e… meno legalità. Sapersi muovere, in questa giungla, ha i suoi vantaggi. Serve un passo particolare. Carlo Monterossi ce l’ha.

Trionfa su tutto col suo modo di fare, perennemente insoddisfatto ma divertito. Fabrizio Bentivoglio sa tenere a freno il disagio del suo eroe, non concede mai all’insoddisfazione, il suo piglio è rock ma temprato dall’esperienza. Monterossi/Bentivoglio è un patto con il diavolo dylaniano fin nel midollo, nell’ incapacità di gestire fino in fondo il grande dilemma: trattenersi o lasciarsi andare, essere contemporaneamente pop e allergico alle lusinghe del commercio.  Attorno al faro carismatico del protagonista ruotano i comprimari. Più schematici, ma comunque interessanti. Su tutti la diabolica Carla Signoris, la modernissima Martina Sammarco, l’eterno rimpianto Donatella Finocchiaro (l’uomo di oggi, con la donna in carriera, non sa ancora che pesci prendere) e i custodi dell’ordine benintenzionati Marina Occhionero e Diego Ribon. Recluta volenterosa ma inesperta lei, capo brontolone ma dal cuore grande quanto un hub vaccinale, lui.

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Servirebbe un po’ più di tempo. Monterossi – La serie non fatica a disegnare la scoscesa personalità del protagonista. Per il resto, cerca di lavorare su precise tipologie umane senza vincere fino in fondo la battaglia con lo stereotipo. Sul piano narrativo, la paura monta con facilità mentre la risoluzione del versante giallo appare sempre sbrigativa. Il racconto della città, il blues milanese, è appassionato ma un po’ statico, sa di già visto. L’impronta dylaniana, l’eco musicale e letteraria, molto interessante ma anche qui l’impressione è che si poteva andare più in profondità. Servirebbe più tempo, il tempo necessario a calibrare sfondo e primo piano, caratteri e quadro d’insieme. Monterossi – La serie fin qui è uno stile, un’atmosfera, abbozzati nelle grandi linee ma non ancora nei particolari. Servirebbe più tempo: per insaporire i colori, affinare il ritmo, massimizzare il piacere della visione. Chissà quello che succederà. La risposta, amici, ascoltiamola nel vento.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5