Mystic Pop-up Bar: recensione della serie tv coreana Netflix
Un giovane con un potere straordinario inizia a lavorare per la proprietaria pluricentenaria di un bar che risolve i problemi emotivi dei clienti entrando nei loro sogni. Ma realizzare i desideri delle persone non è sempre un compito così facile...
È indubbio che la Corea del Sud stia vivendo da ormai una quindicina d’anni una fioritura culturale e artistica del tutto anomala e imprevista, una nuova onda – chiamata hallyu – che ha portato a un incremento della popolarità globale del Paese asiatico. Basta pensare al clamoroso successo mondiale di Bong Joon-ho e di Parasite, che con i suoi 4 Oscar ha posto finalmente sotto i riflettori un’industria capace di grandi blockbuster così come di opere d’essai e di nicchia (quelle di Kim Ki-duk e di Park Chan-wook, tanto per fare qualche nome).
Una volta scoperchiato il vaso di Pandora, il cammino di scoperta occidentale ha portato inevitabilmente anche al macrocosmo della serialità televisiva, e Netflix è stata la prima piattaforma a rompere gli indugi con un pugno di proposte particolarmente interessanti, tra cui spicca l’horror in costume Kingdom. Al carnet si è ora aggiunto Mystic Pop-up Bar, che ha una storia personale articolata, visto che si tratta dello spin-off (ma potremmo anche dire reboot) del webcomic – fumetto pubblicato solo online – Twin Top Bar.
Mystic Pop-up Bar: Aprire la porta del mondo dei sogni
Chi conosce quel webtoon sa a cosa sta andando incontro: la serie è incentrata su una donna di nome Wol-joo (interpretata dalla veterana Hwang Jung-eum) nata 500 anni fa. Fin da bambina, Wol-joo ha avuto il potere di entrare nei sogni delle persone e di indagare i loro turbamenti emotivi. A causa di una maledizione, tuttavia, viene condannata a risolvere i problemi di 100.000 esseri umani. E, se fallirà, finirà all’inferno. Dopo un incipit piuttosto cupo, troviamo la protagonista a Seoul, proprietaria di un tendone-mobile-bar, conosciuto in Sud Corea come Pojangmacha, dove solitamente ci si reca la sera, dopo il lavoro, per mangiare e bere.
Nel corso dei 12 episodi, quindi, la missione sarà solo una: portare a termine il suo compito, coadiuvato dal cuoco-manager Gwi e dal giovane Han Kang-bae, che ha la misteriosa capacità di far confidare le persone semplicemente tramite il contatto fisico. Per quanto la leggerezza di toni e contenuti regni sovrana. Mystic Pop-up Bar affronta anche alcune tematiche centrali della contemporaneità, quali corruzione, solitudine e depressione, tornando poi sempre però alla commedia, con parentesi comiche non sempre indovinatissime che possono risultare fuori luogo vista la grevità degli argomenti di partenza.
Tra supereroismo e magia (con un tocco di romanticismo)
Nonostante la struttura della serie sia di base ripetitiva, con il nuovo caso affrontato dal trio magico, l’esposizione del problema e la sua risoluzione per arrivare al fatidico quorum dei 100.000, la trama “orizzontale” prevede anche alcuni importanti colpi di scena, utili a movimentare un po’ l’intreccio. Senza entrare nello specifico, rischiando di spoilerare cliffhanger e turning points, una parte di queste sorprese hanno a che fare coi sentimenti e con l’amore. Il che ci porta a considerare come spesso i prodotti coreani pop attraversino con estrema nonchalance diversi generi anche tra loro opposti.
Una pratica che può disturbare il pubblico europeo e occidentale, perché mina le fondamenta della credibilità. Se a questo aggiungiamo una certa mancanza di ritmo (che sovente si spezza proprio a causa degli sketch umoristici) e la presenza di un villain del tutto superfluo, non fatichiamo ad affermare che lo show non possa dirsi del tutto riuscito. Di fronte a una premessa così accattivante ci si sarebbe forse aspettati un diverso sviluppo; soprattutto per lo spettatore totalmente a digiuno non tanto di serialità tv asiatica quanto del digital comic di riferimento. Per il neofita, Mystic Pop-up Bar resta un viaggio affascinante ed eccentrico, ma di cui a volte si faticano a capire le motivazioni.